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La Corte Europea boccia ‘cieli aperti’
notizia pubblicata 27 Settembre 2006 alle ore 12:00 nella categoria Territori

L’Europa “chiude” a ‘Cieli Aperti’. La Corte europea di giustizia ha deciso oggi che gli accordi bilaterali ‘cieli aperti’ conclusi da diversi paesi europei (Danimarca, Svezia, Finlandia, Belgio, Lussemburgo, Austria, Germania e Regno Unito) con gli Stati Uniti violano la normativa comunitaria. La sentenza della Corte, molto attesa, è il risultato di un contenzioso avviato quattro anni fa dalla Commissione Ue, che rivendicava la sua competenza esclusiva a trattare con gli Usa
un accordo valido per tutta l’Ue. A partire dal 1995, gli Usa si sono legati a diversi paesi membri dell’Ue per facilitare il libero accesso a tutte le rotte, la concessione dei diritti di
rotta e di traffico illimitati, la fissazione dei prezzi in base ad un sistema detto di ‘doppia disapprovazione’ e la possibilità di ‘code-sharing’. La Commissione Ue ha presentato ricorso contro 7 paesi firmatari degli accordi ‘open sky’ (Danimarca, Svezia, Finlandia, Belgio, Lussemburgo, Austria e Germania) ed ha promosso un’azione anche contro il Regno Unito. Due gli addebiti portati avanti dall’esecutivo. In primo luogo, i firmatari delle intese bilaterali (quest’accusa non
riguarda il Regno Unito) hanno violato la competenza esterna della Comunità, unica istituzione competente a concludere un accordo con gli Usa. In secondo luogo, gli otto paesi hanno
violato le disposizioni del trattato sul diritto di stabilimento: essi hanno infatti consentito agli Usa di
rifiutare i diritti di traffico sul loro spazio aereo alle compagnie di un paese Ue contraente di un accordo qualora una quota rilevante della proprietà ed il controllo effettivo del
vettore non facciano capo a tale paese. La Corte europea di giustizia ha nella sostanza accolto il
ricorso della Commissione su entrambi i fronti. Sette paesi hanno infatti “violato la competenza esterna della Comunità per quanto riguarda le norme comunitarie relative alla fissazione delle tariffe aeree sulle rotte intracomunitarie nonché ai sistemi telematici di prenotazione”. Otto stati membri (in questo caso è compreso il Regno Unito) hanno violato le norme in materia di diritto di
stabilimento: la clausola relativa alla proprietà ed al controllo delle compagnie rappresenta infatti una discriminazione.