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Il Nepal resta la meta preferita degli Hippy
notizia pubblicata 27 Settembre 2006 alle ore 09:26 nella categoria Territori

In Nepal gli anni Sessanta non sono ancora passati e gli hippy, nonostante la guerriglia maoista alle porte, continuano ad affollarne le strade. Ce ne
sono di tutti i tipi: nostalgici che arrivano a Kathmandu da tutto il mondo ogni estate, quando smettono per un mese gli abiti da normali impiegati; giovani figli dei figli dei fiori che intendono rivivere le emozioni e i ricordi raccontati loro dai loro genitori; immarcescibili hippy che, folgorati dalla
prima visita sessantottina, non hanno più voluto abbandonare la valle nepalese; ex alternativi che, giunti alla pensione, rimettono le camicie a fiori, fanno riallungare i capelli e tornano a vivere in Nepal per il resto della loro vita. Certo molto è cambiato. Negli anni Sessanta il punto di ritrovo per tutti era Freak Street, oggi le nuove generazioni di hippy vivono a Thamel, ma lo spirito è lo stesso. La più famosa strada di Kathmandu, invasa dagli hippy negli anni ’60 e ’70, si snoda in direzione sud da Basantapur Square, al centro della
capitale. Il suo vero nome è Jochne, ma, dagli anni ’70, è meglio conosciuta come Freak Street. All’epoca d’oro il fascino di questa strada, in cui si fondevano squallore e bellezza, era irresistibile: profumo di incenso, bambini che agitavano ruote di preghiera, alberghi economici, ristoranti pittoreschi, negozi che offrivano tutto l’immaginabile e altro ancora. Non c’è da stupirsi che tutto questo fosse immediatamente in sintonia con il mondo dei freak che hanno dato il nome alla strada. Gli anni del partito dell’ amore sono ormai un ricordo, ma il passato di Freak Street e la sua posizione centrale nel
cuore della vecchia Kathmandu richiamano tuttora frotte di visitatori, che si perdono nei negozietti alla ricerca di souvenir. E tra una ruota della preghiera e una maglietta con l’immancabile occhio di Buddha, non è difficile vedersi offrire marijuana. Questa era l’attrattiva principale di Freak Street:
locali dove si potesse liberamente trovare e fumare marijuana, da mangiare anche mischiata in una torta di mele, pianta che in questi posti cresce spontaneamente, tanto che nei dintorni della capitale le popolazioni rurali ne ricavano una birra, unica bevanda che si concedono. Il successo di Kathmandu come capitale degli hippy deriva dalla recente apertura al turismo del regno
himalayano coinciso con il movimento pacifista mondiale degli anni sessanta. Nel 1956 ci fu l’inaugurazione del primo collegamento con l’India percorribile da mezzi motorizzati. Dieci anni dopo venne realizzata un’altra strada statale, mentre nel 1974 decollò anche il traffico aereo. Gli aiuti da parte
dei Paesi stranieri iniziarono ad arrivare negli anni ’60, portando lavoratori stranieri e nuova prosperità alla città. La popolazione di Kathmandu triplico’ in 20 anni, e la città allargò i suoi confini sulla spinta delle nuove abitazioni costruite per gli immigrati che si stabilivano in città. Negli
anni ’60 fecero la loro comparsa i turisti, attratti dal basso costo della vita e dalle risposte che la filosofia orientale offriva ai dubbi esistenziali. Freak Street divenne il cuore pulsante di questo universo di hippy che qui avrebbe trovato qualsiasi tipo di droga, qualsiasi miscuglio di filosofie e qualsiasi altra cosa potesse desiderare. Kathmandu divenne una mecca del turismo, anche grazie all’affermarsi del trekking organizzato. E a Kathmandu si veniva anche per meditare, per ritrovare se stessi. I sadhu, i santoni induisti, nell’unico
Paese induista al mondo sono molti, le verdi vallate e le montagne favorivano queste meditazioni. Oggi questi santoni, che dovrebbero aver lasciato tutto per darsi alla meditazione, sembra abbiano lasciato anche questa per la più redditizia attività di soggetti fotografici per turisti, ai quali chiedono
soldi in cambio di foto in posizioni yoga o mettendo in mostra capelli mai tagliati o attributi divini. Oggi Freak street non è quella di una volta, e neanche i numerosi hippy che la capitale continuano a frequentare Kathmandu. Si sono spostati a Thamel, quartiere nel quale la bacheca della guest house dove si
lasciavano gli appuntamenti per le varie feste è stata soppiantata da internet cafè, dove i negozietti sono stati sostituiti da centri commerciali all’occidentale. Qui le magliette o i poster con Bob Marley o inneggianti alla libertà sessuale sono state soppiantate da quelle con una ammiccante Brithney Spears. Un centro a misura di neo-hippy cibernauti, non certo per i nostalgici dei Sessanta. I primi li riconosci subito: al posto di sandali hanno scarpe da ginnastica o da trekking, fascia nei capelli, indosso rigorosamente T-Shirt. Alla marijuana preferiscono le droghe sintetiche, ectasy in testa, arrivate qui dall’occidente. Non scrivono gli appunti di viaggio su consunte agende ma utilizzano note pad e pc portatili. La loro musica non è il rock sessantottino o le mistiche sonorità orientali ottenute da sitar e tabla, ma techno e rock duro. Per loro la ricerca della libertà è la ricerca dell’eccesso. Ma i veri hippy, i nostalgici dei ’60, a Kathmandu esistono ancora e sono molti. Oggi, smesse le camicie fantasia e lavati i capelli sempre rigorosamente lunghi, con le mani piene degli immancabili anelli d’argento, gestiscono ristorantini, guest house,
organizzano visite e trekking. Alcuni di loro si sono dati al sociale: insegnano nei villaggi, contribuiscono alla realizzazione di opere. Quasi come segno di riconoscenza verso un Paese che quarant’anni fa ha dato loro la sensazione della
libertà.