Turisti poco rispettosi, la denuncia nel docufilm sui campi di sterminio

Turisti che mangiano panini passando da una baracca all’altra. Picnic improvvisati nei prati delle adunate e delle esecuzioni, selfie davanti ai forni crematori o sotto la scritta ‘Arbeit macht Frei’.

Sono alcune delle immagini quotidiane catturate dal documentario ‘Austerlitz’ di Sergei Loznitsa, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Una raggelante immersione, accompagnata solo dalle voci dei turisti e delle guide, in ciò che succede durante le visite a campi di concentramento e memoriali tedeschi, come Bergen-Belsen, Ravensbruck, Sachsenhausen, e Mittelbau-Dora.

“La domanda da cui sono partito in ‘Austerlitz’ è stata ‘cosa provano le persone che vanno a visitare questi luoghi?’. Mi sono concentrato sui loro visi, le loro espressioni”, dice il regista ucraino.

La risposta al quesito di Loznitsa la troviamo nei flussi di persone di tutte le età, da tutto il mondo, famiglie e scolaresche, che vanno avanti e indietro, con all’orecchio spesso le guide sonore. Rispetto allo shock e al senso di lutto, sembrano prevalere l’inconsapevolezza e la pulsione a scattare foto.

“Questo non è uno spot turistico, ma un film sul rapporto delle persone con la storia – spiega Loznitsa – raccontato attraverso questi luoghi, che sono tra i più visitati in Germania”. 
A chi gli chiede se sia giusto fare turismo in certi luoghi, risponde: “Non sta a me dirlo, il film fa vedere tanti aspetti. Anche se tra tutti i luoghi che mostriamo il memoriale che secondo me è stato realizzato meglio, è quello di Bergen-Belsen. Lì c’è un museo della memoria, non ci sono forni crematori, al posto del campo ci sono fiori, viali e monumenti, con foto e pietre che ricordano il passato. In un luogo così si può andare realmente a pregare e riflettere. Credo si debba andare preparati a questo tipo di visite, con la mente e l’atteggiamento pronto. L’impressione è che la gente non capisca dove sia, che uno sguardo più profondo al luogo le scivoli addosso”. 

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