La sabbia del deserto salato di Lut, uno dei più inospitali della terra insieme al Gobi, in Iran, ha conservato inalterata nel tempo Shahr-i Sokhta, definita dagli archeologi la ‘Pompei d’Oriente’.
A raccontarlo all’ANSA Enrico Ascalone, direttore scientifico del Progetto archeologico multidisciplinare internazionale a Shahr-i Sokhta, avviato nel 2016 dal dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento che lo finanzia con il ministero degli Affari Esteri ed enti privati, e che lavora fianco a fianco con i colleghi della spedizione archeologica diretta da Mansur Sajjadi per l’Iranian Center for Archaeological Research (che a Shahr-i Sokhta scavano dal 1997).
La missione congiunta ha portato ora nuove scoperte, raccolte nel volume ‘Scavi e ricerche a Shahr-i Sokhta’, che sarà presentato domani all’Università del Salento.
Nata intorno alla seconda metà del quarto millennio nell’area del Sistan, non lontano dai confini con Pakistan e Afghanistan, collassata intorno al 2.300 per cause ancora sconosciute e nella lista Unesco per il suo ‘valore universale’, Shahr-i Sokhta era un fiorente centro di commercio e agricoltura, culla di un melting pot tra le quattro grandi civiltà fluviali. “La nostra idea – racconta in Ascalone – è che fosse una società strutturalmente eterarchica e non gerarchica. Diversi gruppi tribali coesistevano in pace, senza predominio uno sull’altro. Lo dimostrano le tipologie tombali e l’assenza di mura difensive, segno che non avevano apparato militare”.
“Su una superficie di 300 ettari, ne abbiamo scavato appena il 5% – dice ancora Ascalone – ma sappiamo che una delle attività più remunerative era il commercio di turchesi e bellissimi lapislazzuli. Gli edifici erano alti anche 2 metri, arricchiti di decorazioni parietali che, però, non rappresentavano figure, ma motivi geometrici”.
Ma perché morì Shahr-i Sokhta? “è il grande mistero da sciogliere ora – risponde Ascalone – Non ci fu un episodio scatenante come l’eruzione del Vesuvio. Il collasso, però, avvenne in pochi decenni”. Per ora le analisi paleo-botaniche puntano l’indice sul clima. “Le variazioni dei monsoni avrebbero provocato ampie aree di siccità e queste una crisi commerciale ed economica”. Insomma, Shahr-i Sokhta non era più quel centro fiorente di vita e prosperità. Finendo abbandonata, alla sabbia del deserto.