Tar del Lazio: corto circuito sui musei blocca la civiltà del fare

(di Toti Piscopo) S’infiamma la polemica sulla decisione presa dai Giudici del Tar del Lazio, a torto o a ragione, colpevoli di aver emesso una sentenza che, secondo molti, danneggia l’immagine dell’Italia. I fatti sono noti: cinque grandi musei nazionali, dal Palazzo Ducale di Mantova al Museo archeologico di Reggio Calabria perdono i loro direttori in base a due sentenze del Tar del Lazio. Secondo i giudici, il bando ”non poteva ammettere candidati stranieri”. Criticate anche le modalità di selezione oltre che le motivazioni addotte dalla commissione giudicatrice. Immediata la reazione del ministro della Cultura Dario Franceschini che annuncia di essersi già rivolto al Consiglio di Stato con la richiesta urgente di una sospensiva. La notizia campeggia sulle prime pagine di tutti i giornali e per il ministro Franceschini provocherà anche un grave danno di immagine all’Italia nel resto del mondo.

Una ghiotta occasione per alimentare le consuete polemiche non solo politiche ma anche sulla giustizia in generale, ciclicamente accusata di costituire un freno per la crescita del Paese, con i suoi stop-and-go ed i suoi tempi biblici. E’  innegabile che ai politici spetta legiferare ed ai magistrati  far rispettare le leggi, anche quando sono superate o inadeguate rispetto ai tempi. Come in questo caso in cui la classe politica aveva assunto atteggiamenti e comportamenti dai risultati virtuosi ed ampiamenti condivisi. Eppure, anche quando le scelte ai più sembrano quelle giuste e produttive per la collettività, il corto circuito tra organi dello Stato crea quella sorta di black out che certo non alimenta la fiducia nello Stato, in tutte le sue diramazioni.

Ma forse, se i giudici del Tar del Lazio avessero avuto una visione meno burocratica e più illuminata, potevano orientarsi nella direzione di una scelta di buon senso che premiasse meritocrazia e professionalità, considerando ancor di più l’imminente avvio della stagione estiva.

Una buona occasione per emettere una sentenza di “civiltà giuridica”, evidenziando sì la difformità ma concedendo nel contempo una sospensiva utile a richiamare la classe politica e il parlamento tutto ad adeguare la legislazione nazionale alla normativa europea. Forse troppo semplice o troppo facile? Forse. Ma sicuramente sarebbe stato un buon segnale se non di civiltà giuridica di cultura per la civiltà del fare e del non disfare.

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