Ospitalità religiosa, il coronavirus svuota le 4.000 case no profit

Tra i tanti aspetti delle vite sconvolte in questo periodo di coronavirus, c’è anche l’attività di ospitalità di circa 4.000 case religiose e no-profit che in Italia offrono 280.000 posti-letto a pellegrini, viandanti e turisti. Sono i dati del portale ospitalitareligiosa.it, in sintonia con l’Ufficio nazionale CEI per la Pastorale del Turismo, di un settore confinato nell’ extra-alberghiero che oggi è ancora chiuso per decreto.

Questo settore genera -o meglio dire generava- le risorse in favore delle categorie più svantaggiate con attività caritatevoli, sociali e di sostegno: dormitori, mense, distribuzioni di viveri, ospitalità gratuite, attività per disabili. Per non parlare delle Missioni sparse nel Terzo Mondo e alimentate da Ordini, Congregazioni e Associazioni con sede in Italia.

Una potenza di fuoco che secondo le stime dell’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana arriva a 5 milioni di euro al giorno ma oggi completamente azzerata. E per le gestioni di queste strutture non c’è bonus, cassa integrazione o fidi agevolati, perché non si tratta quasi mai di attività d’impresa.

Si spezza così la catena della solidarietà: tutti a casa, nessun ospite per queste strutture, nessun incasso, nessun fondo per la carità verso i più poveri. Un danno quindi doppio: per chi ci lavora e per chi ci conta a scapito della sua stessa sopravvivenza. Certo, non è colpa di nessuno, ma ricordiamocelo quando torneremo a viaggiare e dovremo far valere eticamente le nostre scelte.

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