Il braccio di ferro tra i tassisti e la piattaforma Uber si arricchisce di un nuovo capitolo, un punto a favore dei primi: secondo un primo parere della Corte Ue, Uber potrebbe essere obbligata a possedere le licenze richieste dalle legislazioni nazionali per i taxi.
Le conclusioni cui è arrivato l’avvocato generale della Corte Ue nella causa intentata a Uber da un’associazione di taxi spagnola non favoriscono la piattaforma. Bisognerà ora vedere se il suo parere sarà accolto nella sentenza, attesa nei prossimi mesi. Dunque, secondo le conclusioni di Maciej Szpunar, il servizio offerto da Uber deve essere qualificato come servizio nel settore dei trasporti. Escluso quindi dal principio della libera prestazione fissato dall’Ue per i servizi informatici.
“Questa pronuncia – applaude il presidente dell’Unione dei Radiotaxi d’Italia, Loreno Bittarelli – conferma le tesi che sosteniamo ormai da tempo. Uber dice di essere una piattaforma di intermediazione tra autisti e passeggeri ma in realtà il suo vero business è appunto quello del trasporto” e quindi anche per lei devono valere le normative nazionali relative al settore.
Di segno analogo le prese di posizione dell’associazione europea Tea, di Federtaxi, di Conftrasporto e dei vari sindacati di categoria, mentre critiche arrivano dalle associazioni dei consumatori: “Il processo di liberalizzazione del settore dei trasporti è ormai inarrestabile e inevitabile e per questo le conclusioni dell’avvocato generale della Corte Ue appaiono obsolete e si scontrano con la realtà”, afferma il presidente di Codacons Carlo Rienzi.
La piattaforma online sceglie il basso profilo: “Essere considerati una società di trasporto non cambierebbe il modo in cui molti Paesi europei già oggi regolano le nostre attività”, affermano da Uber, attaccando tuttavia “le leggi datate che impediscono a milioni di europei di accedere a corse affidabili con un semplice clic”.