Il mercato del turismo islamico ante pandemia vale circa 220 miliardi di dollari (Global Muslim Travel Index) e potrà rapidamente raddoppiare grazie all’incremento demografico della popolazione musulmana e al suo crescente reddito. I viaggiatori islamici infatti, nel 2000 erano 25 milioni, nel 2020 sono saliti a 158 milioni e si prevede che nel 2026 il valore dei loro spostamenti toccherà quota 300 miliardi di dollari. Uno scenario dal quale l’Italia è quasi del tutto esclusa: è la rilevazione del team di lavoro del Dipartimento di Management dell’Università di Torino, guidato da Paolo Biancone e Silvana Secinaro, che recentemente ha anche messo a confronto 120 imprese italiane del Food & Beverage, 60 con certificazione Halal e 60 senza. I temi saranno al centro del TIEF, Turin Islamic Economic Forum, che Torino ospita dal 13 al 15 ottobre.
L’Italia vanta circa 58,3 milioni di turisti l’anno provenienti da tutto il mondo. “Un Paese come il nostro, ricco di luoghi e monumenti che raccontano secoli di incontro e fusione fra la cultura occidentale e quella musulmana, dovrebbe essere tra le prime mete del turismo Halal – commenta il professor Paolo Biancone –. Invece manca un approccio complessivo in grado di creare una estesa rete di accoglienza che tenga conto delle peculiarità di un turismo che ha sì esigenze particolari, ma che è di norma alto spendente e qualificato».
Nel mercato turistico internazionale Halal, la capacità competitiva dell’Italia è al di sotto delle potenzialità, al punto che il nostro Paese non compare neanche fra le prime dieci destinazioni internazionali nel Global Muslim Travel Index, posizionandosi molto al di sotto di Germania e Francia, i Paesi europei che più si sono dati da fare per intercettare questo importante flusso di turisti, con le ricadute economiche positive che comporta.
«Per l’Italia l’accoglienza Halal è prima di tutto una sfida culturale e di comprensione delle sue grandi opportunità, soprattutto nel periodo di rilancio post-Covid – spiega Biancone –. In questo scenario il cibo “certificato Halal” si pone come elemento chiave per l’attrazione di turisti big spender dei Paesi del Golfo. La connessione tra cibo, spiritualità e turismo è profonda e negli ultimi decenni ha creato un’ampia domanda di mercato per i prodotti Halal che per le aziende dei settori Food and Beverage sono divenuti stimolo di innovazione e crescita”.
E proprio il cibo è leva di attrazione turistica e costituisce uno dei pilastri delle buone pratiche da seguire per attirare il turismo Halal-friendly. Pratiche che il Dipartimento di Management ha sintetizzato in 10 punti, dove sottolinea l’importanza di piatti Halal nei menù dei ristoranti interni, “che non significa offrire cibo “etnico” – chiarisce il team del Dipartimento –, non solo perché i Paesi di Provenienza dei turisti musulmani sono i più disparati e con tradizioni culinarie diverse, ma soprattutto perché il turista viene in Italia per vivere un’esperienza con il cibo italiano, rinomato nel mondo. Dunque, bisogna proporre una cucina italiana adeguata ai canoni islamici”.