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La grande bellezza in Sicilia è turismo senza cultura?

Michelangelo Trebastoni dirigente responsabile del Servizio regionale turistico di Piazza Armerina

La Grande Bellezza del patrimonio culturale siciliano è costituito dai 111 siti che rappresentano il 26,4% di quelli presenti in tutto il Paese, ma che riescono ad attrarre appena il 9,2% dei visitatori, incassando solo il 10,% degli introiti totali.  

 

Nel tempo, sono stati riconosciuti regionali diversi musei che nulla hanno di veramente significativo perché Mamma Regione dovesse sostituirsi nella gestione ai privati o agli enti locali del territorio con evidente sovraccarico nei capitoli del bilancio.

 

Il nodo della quaestio, ovviamente, non è solo quello dei dipendenti. In alcuni casi, a fornire il personale ai musei sono le soprintendenze, mentre in altri casi i lavoratori vengono pagati direttamente dal museo. E uno su due costa più di quanto incassa, nonostante i continui annunci sull'ottimizzazione della cultura siciliana negli ultimi lustri.

 

Il vero nocciolo é il reclutamento dei dirigenti a capo dei cosiddetti servizi (così vengono appellate le strutture pubbliche periferiche in Sicilia): musei, parchi archeologici e soprintendenze. Vengono pubblicati i bandi per l'assegnazione dei posti di comando, ai sensi della legge regionale 10 del 2000, per cui é stato istituito il ruolo unico dei dirigenti, abolendo, così il ruolo tecnico; vengono presentati i curricula, indispensabili per la valutazione dei titoli e per l'assegnazione delle sedi; viene sottolineata la necessità della rotazione dei dirigenti, per permettere a tutti di formarsi professionalmente e per svolgere esperienze lavorative; vengono assegnati obiettivi immaginifici da raggiungere; mentre poi non si esaminano e valutano tutte queste cose.

 

A tal proposito, l'attuale assessore ha annunciato l'arrivo dal competente ministero di oltre 33 milioni di euro per il patrimonio archeologico e museale. La domanda è: quando con tutti questi soldi pubblici i dirigenti preposti sapranno valorizzare i tesori di cui dispongono, trasformandoli in posti di lavoro e reddito, invece di lasciare questa ricchezza abbandonata a sé stessa e, talvolta, al degrado e alla disattenzione?          

 

Accade che ai vertici delle strutture periferiche del Dipartimento dei Beni culturali ed ambientali, ma solo in Sicilia, vengano assegnati unicamente archeologi ed architetti, talvolta filosofi e geologi, mai dirigenti amministrativi in possesso del titolo di laurea così come prescritto dalla Legge, cioè Giurisprudenza, Scienze Politiche, Economia.

 

Paradossalmente, al vertice di questo Dipartimento, nel tempo, sono stati nominati prevalentemente dirigenti amministrativi, mentre nelle strutture periferiche mai.

 

Succede, poi, che questi tecnici non abbiano competenze tali per rilanciare le strutture al fine della pubblicizzazione delle specificità del territorio e per l'incremento delle presenze alberghiere ed extra alberghiere, nonché degli arrivi dei turisti, che sono, poi, quelli che, pagando il biglietto, permetteranno, almeno, di rendere queste strutture pubbliche finanziariamente autonome e non deficitarie, non fosse altro per tenerle pulite e decorose, potendo così sviluppare economia e lavoro.

 

Questi ottimi funzionari veramente pensano di poter svolgere compiti incompatibili con i loro titoli di studio, dirigendo questi servizi in siffatti modi?

 

Veramente i nostri amministratori regionali, oggi come ieri, considerato che siamo nell'era della globalizzazione e della multimedialità, ritengono che lo sviluppo di un territorio non passi anche dalla guida manageriale di strutture così determinanti per la nostra economia?

 

Non è stata mai istituita una rete dei monumenti fruibili, una vera cabina di regia per la valorizzazione e promozione, solo proclami e chiacchiere. Come si spiega, altrimenti, che alcuni importanti musei dell'Isola, posti nelle adiacenze di siti archeologici di pregio, talvolta riconosciuti patrimonio dell'umanità, visitati ogni anno da centinaia di migliaia di turisti, abbiano, invece, poche migliaia di pubblico?

 

Quando le problematiche da risolvere, nel tempo, si incancreniscono perché sono sempre le stesse, perché non considerare che per cambiare le cose è necessario sostituire le persone con "menti" più fresche, più libere, non ruotarle?

 

Forse ha ragione Vittorio Sgarbi quando scrive "l'Italia più bella è quella che non rende, quella in cui il turista non arriverà. Così, se ne può coltivare l'illusione, scongiurandone i rischi".