Sono Patrimonio mondiale dell’Unesco dal 2003 ma sono ancora sconosciuti alla maggioranza degli italiani. Sono i sette Sacri Monti piemontesi (Varallo, Belmonte, Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa, Orta): una galleria che unisce ”arte, devozione, ricerca di spiritualità e amore per la natura”, con 164 cappelle snocciolate sulle colline, a comporre sette differenti cammini d’ascesi, ognuno verso il proprio santuario. Un museo a cielo aperto, ”con 12 mila figure affrescate e più di 2.400 statue dipinte in terracotta a grandezza naturale”, sorto a partire dal ‘400, quando i pellegrinaggi in Terra Santa diventarono troppo pericolosi e per i fedeli si iniziarono a riprodurre i luoghi sacri in patria. Cappella dopo cappella, scena dopo scena, la conquista, fisica e religiosa, del Sacro Monte era il nuovo pellegrinaggio, tra storie dei Vangeli e vite dei Santi, oggetto di devozione fino a oggi.
Ma soprattutto si tratta di un patrimonio delicatissimo, immerso nel verde su panorami mozzafiato, che da cinque secoli combatte contro ogni agente atmosferico. ”Tenerlo vivo – spiega la presidente del nuovo Ente di gestione regionale Sacri Monti, Renata Lodari – è un’impresa non dissimile da Pompei, ma con finanziamenti da Regione e Ministero neanche lontanamente paragonabili. Ed essendo luoghi di culto, non è possibile alcuna bigliettazione. Vorrei invitare qui il ministro Franceschini”.
Primi obbiettivi dell’Ente, che da aprile per la prima volta riunisce tutti i Sacri Monti piemontesi, ”la ricerca di sponsor, non solo in Italia” e ”un piano di rilancio con un circuito per i turisti”. Ma “come a Pompei – conclude la direttrice Elena De Filippis – serve un piano di gestione ordinaria e uno per le urgenze”.