Addio alla Regina Elisabetta II d’Inghilterra, morta all’età di 96 anni. Nel corso dei suoi 70 anni di regno, la regina si è anche recata in Sicilia e in particolare a Palermo, per ben due volte. Il primo viaggio fu nel 1980 in compagnia del principe Filippo a bordo dello yacht reale “Britannia”. Tra le tappe della visita il Duomo di Monreale, l’Ars, la Cappella Palatina e il palazzo Valguarnera Gangi nel quale Elisabetta e Filippo si fermarono a mangiare.
La seconda visita avvenne nel maggio del 1992. Nel programma originario era previsto l’arrivo in aereo, una breve visita in città e direzione porto, dove lo yacht Britannia l’avrebbe attesa per portarla a Malta, meta finale del viaggio. Appena cinque giorni prima dell’arrivo della regina, però, Palermo fu scossa dal boato della strage di Capaci e dall’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, insieme alla loro scorta. La famiglia reale non volle cambiare i piani, anche per dimostrare la propria vicinanza al popolo siciliano fermandosi a pregare sul luogo della strage. Dopo l’arrivo a Punta Raisi, il corteo si fermò in autostrada e la regina e il principe Filippo si fermarono per una preghiera. I reali scesero dall’auto, Elisabetta attonita fu sentita mormorare: «incredible». Poi con il marito si fermò a pregare davanti alla corona di fiori che pochi giorni prima era stata deposta dall’allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Successivamente il corteo si rimise in viaggio verso il porto per poi lasciare l’isola.
E a dimostrazione dell’affetto dei siciliani, ci piace ricordare the Queen Elisabeth con il particolare saluto che Sofia Muscato, autrice e interprete palermitana, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook.
My dear, dear, dear Catananna…
E che ti scrivo adesso?
Io oggi mi sento come se mi avessero sfrattata dalla stanza dei giochi, togliendomi l’ultima immortale nonna che mi restava.
E’ una situazione strana.
Sono realmente dispiaciuta senza avere un motivo Reale per esserlo.
Mi sono pure chiesta se questa sensazione di perdita che mi porto dietro fosse “giusta e doverosa”.
Non so come dire.
In fondo, la tua vita e la mia si sono intrecciate solo nella mia fantasia e in quella di chi mi legge.
Senti, my beautiful, non parlerò del cordoglio del mondo.
E’ lecito. E’ dovuto.
Qui parliamo solo noi due, stabbè? Ok!
Because the guai in the pignat i sapi only the spoon ca l’arrimined.
E’ solo che in questi anni, io e te, in un mondo tutto nostro, siamo state amiche davvero.
Ci sono state stanze, eventi, racconti, chiacchiere a bassa voce sui tuoi outfit e storie dove io e te eravamo inseparabili.
Tu oggi, nel fiore dei tuoi 96 anni, te ne vai e io perdo un piccolo pezzetto del mio mondo fatto di siculinglish, curtigghio, consigli spassionati, fotomontaggi, risate a scattacori e di grandi motivi di discussione, nel bel mezzo di giornate anonime per noi comuni mortali.
Oggi perdo, soprattutto, l’uso improprio dell’appellativo Queen.
Quello è tuo.
Solo su di te assume il significato per cui è nato.
Sai Dear Bittuzza, now ti dicu un secret!
Ho iniziato a inventare la nostra vita insieme in un momento della mia giovinezza in cui ero molto insicura.
E questo non lo sanno tutti.
Turn, vota e furrìa, io per i miei primi 30 anni, mi sentivo the zerbin of tutti.
I primi 30 anni del mio Regno, fuaru na fitinzy, t’u giuru.
Poi, a day, mi taliu nt’o mirror e mi dico:
“Stop now! Not is life, this!”
E, a quel punto, decido di non abbassare più gli occhi davanti a nessuno.
Ci voleva qualcosa però.
Perché la volontà, talvolta, da sola, non basta.
Ci voleva convinzione, Bittù.
Ti ricordi quannu addivintasti Capo di Stato a 25 anni?
Tu era ancora na cagnola, va. E, all”epoca, cagnola era macari ca io.
Sbutata morta.
Allora, mi sfurnisciaving for found na thing pi teniri the head beautiful tisa and, cerca there and cerca here, na thing a ‘ncucciai: a crown.
Mi sirbìa na cosella picchì se no, ad abbassare di nuovo lo sguardo, sai quanto ci stavo? Quantu the davil stetti in the heaven!
Accussì m’accattai un diadema of sichinienz and me lo mettevo a casa, Catanà.
Cominciai a trattarmi da Queen.
Sulu ca mi facìa puru di servitù.
Abbonè.
With this diadem, fattu di vitru e plastic, agli occhi del mondo, parìa crazy di catina, ma, in realtà, con tredici euro su Amazon, io mi ci curai the depression.
Parìa na scecca in the lenzol of sita.
Tanto ho creduto che potevo essere anche io sovrana del mio mondo che, alla fine, mi sono messa pure a scrivere a te.
Io a te.
Like na babba. Like na scimunit. Like me, insomma.
Lettera dopo lettera, unilateralmente, ho creato un posto chiamato Becchingam Palas e ci ho messo dentro te, la mia Catananna, e Fulè e Ciarl e Camilla Parcher Two Balls e Uilliam e Kate e MeCan e Harrypigghiaty.
Non ti ho chiesto il permesso per abitare assieme a te ma è successo.
E’ come se lì, tra le mura dei palazzi d’Inghilterra io avessi una stanza tutta mia dove tu Catananna smettevi di essere sovrana ed eri semplicemente Bittuzza.
My Bittuzza.
E nni cuntavamu i disgrazi.
Da nonna a nipote; da sovrana a sovrana; da me a te.
Ho costruito storie di cui eri ignara protagonista e sogni dove patrizi e plebei parlano la stessa lingua.
Ci siamo prese insieme il thè delle cinque, abbiamo fatto palestra e ai matrimoni dei tuoi nipoti ho avuto sempre un posto di riguardo.
Ero pure al funerale di Fulè e, anche se qualcuno si aspettava che ne avrei scritto sarcasticamente, in quell’occasione, ho fatto un passo indietro e mi sono limitata a raccontare il dolore di una moglie che perde un marito.
Perché per me, tu, Bittuzza, sei sempre venuta prima di tutti i titoli possibili.
Guardavo degli speciali su Rai Uno, poco fa.
Dicevano che hai attraversato, smiling and babbianning, un secolo.
Praticamente, partisti ca eri n’addreva e arrivasti Super Sayan di Monarchia.
Ma mentre trasmettevano gli spezzoni della tua incoronazione e il giornalista descriveva la magnificenza e la bellezza del contesto, ho colto una tua inquadratura e, per un attimo, un ci vitti la Capa di Cazzi che ho conosciuto, ma una ragazza, intimorita, che per legge e destino si stava assumendo responsabilità enormi.
Abiti bellissimi e segni del potere in evidenza.
Ma dei tormenti e delle paure che le viscere nascondono, chi ne sa nulla, Bittù?
Sapi chi pinsavatu!
Catanà, cu tuttu ca the play is bello, detto beautiful, chiaro and circle, si a mia m’avissiru fattu Regina d’Inghilterra cu me patri muartu di picca e cu ancora u mocciu in the nose, io credo che all’incoronazione c’aviss’arrivatu imbottita d’Imodium.
E pi chissu t’ammiru!
Picchì tu, puru cu lu cori a cachì, t’affirrasti i scippatacci e hai abbassato la testa.
Quando l’hai rialzata il mondo, ancora non lo sapeva, ma aveva appena visto nascere la più grande Regina di tutte.
Forse nemmeno tu te lo immaginavi.
Ma il potere è nulla senza controllo.
E tu questo lo hai capito subito.
Una cosa che hai detto e che mi risulta (in seguito all’acquisto infausto di un diadema ca è un cantaru e vinticincu) è che le corone più grandi e belle sono impegnative da indossare.
Il giornalista diceva che, a quanto pare, il giorno dell’incoronazione, si un ti vinniru i cervicali, picca ci mancò.
E ci criu. Perché una corona pesa.
Pesa anche per l’esempio che deve dare chi la sostiene.
Pesa come pesano i protocolli, l’ordine, il rigore e la disciplina, caratteristiche, indiscusse, del tuo regno.
Pesa perché una vera Regina non si serve delle regole per aggirarle, ma per onorarle.
Una Regina è serva della corona che indossa e del paese che guida.
Una Regina, se non serve, non serve.
Tu avevi solo 25 anni quando tutto questo ti è piovuto addosso.
Chissà quanta paura hai avuto di non essere adeguata.
Insomma, diciamocelo clear, si a parrari cu Churchill c’avissiru mannatu a mia, ia m’avissi fattu veniri na frivuzza e c’avissi prisintatu a giustificazione firmata di me ma.
La verità è che anche i re imparano a regnare.
E tu in settant’anni, hai dimostrato che il sorriso di una giovane donna, può trasformarsi nella risolutezza di una donna matura e poi, anche nella tenerezza fiera di una novantenne.
Ti è passata tutta la storia del mondo, tra le mani.
Ma il tuo sorriso è rimasto lo stesso dall’inizio del 1900 ad oggi.
E’ segno che c’è una parte stabile in noi che gli eventi non intaccano e non incidono.
Quella parte lì, la puoi mettere dentro un’etichetta; può essere madre, moglie, capo di stato; la puoi ingabbiare dentro la forma più vetusta che esista: troverà sempre il modo di ricordarci chi siamo.
Troverà sempre un modo di cantare quando non ci sente nessuno o di lanciare una pallina a un cane.
Ti dico cosa ho imparato da te e, poi, ti lascio andare da Fulè ca sicuru già t’aspetta cu un Brandy a li manu.
1. Il silenzio, la riservatezza e il pudore sono arti regali.
Esiste un confine tra il pubblico e il privato; tra il rumore e la quiete; tra il dire e il non dire.
Ritrovarlo è auspicabile e tacere senza farsi vedere, talvolta, è segno di indiscussa superiorità.
L’abito più prezioso, a volte, ce lo abbiamo addosso quando non ci denudiamo davanti agli altri.
2. Un Palazzo può essere nato prima di noi e continuare dopo di noi. Può essere l’antica roccaforte di un mondo che non c’è più o il baluardo di nuove epoche storiche.
Alla fine della fiera, ciò che conta è di quanta verità lo abbiamo riempito; con quante rinunce personali lo abbiamo costruito e con quanti meravigliosi vestiti a colori lo abbiamo onorato durante il nostro passaggio.
3. Il rigore, talvolta, è l’unica scelta possibile. Ma non è detto che quella scelta non nasconda in sé il sacro fuoco dell’amore profondo.
Mantenersi regola in un mondo che, ormai, conosce solo le eccezioni è davvero un atto rivoluzionario e donante.
4. La vita degli altri ci può passare davanti senza destare in noi alcun tipo di sconvolgimento; la vita del mondo ci può passare davanti senza che niente ci intacchi ma se se ne va la persona che abbiamo amato più di tutte, l’immortalità non ci pare più una benedizione così auspicabile.
5. L’ironia, i sorrisi, la cortesia e un saluto, perfino, sono l’esercito più bello del mondo. Dispensarli è come combattere guerre quotidiane, fatte di acredine e insofferenza, senza mai imbracciare un’arma.
6. Non sempre una donna sa di quanta forza è capace ma sa che per essere capace ci vuole forza.
La vita non va sempre come ci aspetteremmo. Ma accettare il cambiamento e le vie inusuali che il destino ci riserva è il primo passo per dare un senso al nostro Regno e renderlo fecondo.
7. Alla fine, forse, il segreto è chiudere gli occhi sapendo che fino alla fine, abbiamo fatto il nostro dovere e dato l’esempio.
I regnanti, se mossi dal senso del dovere, magari danno anche una carezza in meno a coloro che li circondano, ma l’ordine in cui lasciano il loro mondo e la serenità con cui ci salutano è la più grande dimostrazione di benevolenza possibile.
8. Ci sarà sempre una Diana, nella nostra vita, che sovverte gli schemi a cui siamo abituati, ci rende vulnerabili e intacca l’immagine che abbiamo di noi stessi.
Accettare il nuovo con un cuore predisposto, non fermarsi alle apparenze, prendere il meglio che ogni novità si porta dietro e chiedere scusa se abbiamo sbagliato direzione è il segreto per fare pace con il passato e proiettarsi verso il futuro.
9. Il mio mondo e il tuo resteranno cuciti insieme, per sempre.
Una parte di me, oggi, ha perso una vecchia amica a cui, strano a dirsi e a pensarsi, ha davvero voluto bene.
Mi hai fatto conoscere tanta gente, Catananna.
Hai creato ponti senza averne contezza.
Non è vero che il Ponte di Londra è caduto.
Il ponte di Londra è qui a creare ancora rapporti e sincera stima, in questo spazio finto che però sa riservare vere magie.
Mi mancherai Catananna mia, come mi manca mia Nonna Rosa e il suo thè al sapore di “Ave Maria”.
Mi mancheranno i tuoi vestiti Stabilo e le tue espressioni severe tutte le volte che non ti appattava la settanta.
Mi mancheranno i tuoi messaggi alla nazione e tutte le malopre dei tuoi nipoti.
Non so se chiuderò i battenti di Becchingam Palas. So solo che da oggi quei corridoi sono meno colorati di ieri.
Ti abbraccio dal profondo da Queen a Queent’essenza di babbitudine e ti ringrazio per essere stata compagna, nonna, zia e Regina di questo mondo che, senza di te, ha perso l’ultima immortale certezza.
Chiudo le porte di Becchingam Palas, tra una lacrimuccia e l’altra, e ci lascio dentro tutti questi anni insieme, tutta l’allegria che io e te abbiamo trasmesso; la tua corona pesante e la mia ironia leggera.
Ci lascio i tuoi e i miei dolori, il mio Regno e la tua leggenda, la tua eleganza e la mia Tashezza. Ci lascio tutto questo e pure la certezza che, come dice Alessia Randazzo, anche tu, come tutti noi pensi che
10. Carlo III pari un nomu di pizzeria.
Alwais yours, for the last time, Queen Sofy.