Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Marco Platania, docente di Economia del Turismo e direttore del Master in Tourism Operation Manager al Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania
“E finalmente i dati sono arrivati. L’Istat ha prodotto una prima statistica sull’andamento del turismo nel 2023 basata su dati ufficiali (ma ancora “provvisori”). E già questa potrebbe essere una prima notizia, ossia che nell’era dei big data e dell’intelligenza artificiale si possa conoscere la performance annuale di un sistema produttivo così importante come quello turistico con un ritardo di 6 mesi.
Ma veniamo ai dati, la cui lettura ci permette di comprendere meglio un periodo da molti definito come straordinario per il turismo del bel paese. Ma prima di addentrarci nell’analisi sono d’obbligo due premesse. I dati ufficiali non restituiscono mai la vera realtà del fenomeno. Esiste un volume importante di turisti che non vengono rilevati (il cosiddetto sommerso). È un fenomeno abbastanza diffuso in tutta Italia (alcune destinazioni sono state in grado di “controllarlo attraverso software statistici più raffinati) e tendenzialmente costante nel tempo.
Nelle analisi è quindi più interessante cogliere l’andamento tendenziale piuttosto che i valori assoluti. La seconda precisazione necessaria è che pensare che la crescita (o la diminuzione) dei turisti corrisponda ad una misura della qualità dello stesso fenomeno. In realtà non è affatto così: se al dato numerico non si accoppia la conoscenza dell’entità della spesa dei viaggiatori l’informazione è monca. In certi territori, lì dove esiste una governance del turismo, il numero dei turisti è (in alcuni casi volutamente) diminuito ma la spesa è aumentata, con evidenti vantaggi in termini di sostenibilità e impatti economici.
Fatte le due necessarie precisazioni, passiamo all’analisi dei dati del 2023. Il confronto che prenderemo in considerazione è con l’ultimo anno pre-pandemico, ossia il 2019: confrontare con il 2022 è poco utile, considerando che quell’anno era ancora sporcato dagli effetti del covid.
Le stime relative all’anno 2023 indicano un record storico nell’andamento del turismo in Italia: oltre 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze (che ricordiamo rappresentano il numero di notti in cui un turista dorme in una struttura). Rispetto ai livelli pre-pandemici del 2019 abbiamo +3,0 milioni di arrivi (+2,3%) e +14,5 milioni di presenze (+3,3%).
Come per il 2019, la distribuzione dei turisti è concentrata in pochi territori: la regione con il maggior numero di presenze è il Veneto (15,9% delle presenze nazionali), seguita dal Trentino-Alto Adige (12,4%), dalla Toscana, dalla Lombardia e dal Lazio (tutte di poco superiori al 10%). La prima regione del Mezzogiorno è la Campania, con il 4,5% delle presenze nazionali (poco più di 20 milioni di presenze). Le prime sei regioni d’Italia (Veneto, Lombardia, Toscana, Trentino-Alto Adige/Südtirol, Lazio, Emilia-Romagna) valgono il 67% degli arrivi e delle presenze a livello nazionale; più di 6 turisti su 10, fanno una vacanza in quelle regioni. Gli altri “quattro” sono distribuiti fra le restanti.
Rispetto al 2019, cioè ai valori pre-pandemici, le regioni in cui le presenze turistiche sono aumentate maggiormente – con incrementi superiori al 10% e decisamente più ampi della media nazionale (3,3%) – sono il Lazio, la Lombardia e la Sicilia.
Sorprendentemente (ma gli addetti ai lavori avevano predicato calma rispetto alle previsioni entusiastiche sul turismo nazionale) sette regioni non hanno ancora recuperato i livelli del 2019: il Molise (-2%), l’Emilia-Romagna (-2,9%), il Piemonte (-3,2%), la Toscana (-4,3%), la Campania (-8,7%), la Basilicata (-15,1%) e la Calabria (-18,3%).
Altro dato interessante è quello relativo alla provenienza della domanda turistica: nel 2023 la componente estera torna ad essere prevalente rispetto a quella italiana. Il 52,4% delle presenze negli esercizi ricettivi è rappresentata, infatti, da clienti non residenti in Italia. I turisti stranieri tornano, quindi, a superare quelli italiani, con un’incidenza addirittura superiore a quella registrata nel 2019 (la quota di presenze estere era pari al 50,5%).
I territori in cui la clientela straniera è fortemente prevalente rispetto a quella italiana sono la provincia di Bolzano/Bozen (70,6%) e le regioni Veneto (69,3%), Lazio (64,2%) e Lombardia (62%). In tutte le regioni del Mezzogiorno, con la sola eccezione della Campania, la clientela turistica è rappresentata invece in maggioranza dalla componente domestica.
La Sicilia ha dunque recuperato sui valori pre-pandemici e rappresenta uno dei territori in cui il turismo è cresciuto di più. In termini di arrivi la Regione è cresciuta dell’8% mentre le presenze sono incrementate del 9.3%. Il fenomeno ha evidentemente diverse connotazioni territoriali: rispetto al 2019, nel 2023 in termini di arrivi Palermo e Agrigento hanno avuto una crescita evidente (rispettivamente del 21% e del 17%). Seguono Messina (+9%) Ragusa (+7%) Siracusa (+2.5%) e Enna (+1%).
Tre province hanno invece valori negativi: Catania (-1%), Trapani (-2%) e, infine, Caltanissetta (-10.5%). Passando alle presenze del 2023, il quadro offre interessanti novità. Agrigento, rispetto al 2019, è cresciuta con un sorprendente +40,5%. Alcune province che avevano valori negativi negli arrivi, hanno invece registrato valori positivi nelle presenze, come ad esempio Trapani (+3%) e Catania (+0.2%).
Quindi possiamo dire che la crescita del turismo regionale non è stata uniforme e che per alcuni territori il 2023 ha rappresentato soltanto il raggiungimento dei livelli pre-pandemici del 2019.
L’evoluzione dei flussi va analizzata anche con quella della consistenza ricettiva, cioè del numero di strutture per tipologia. Al di là di fisiologiche variazioni (come l’incremento degli alberghi a 5 stelle, degli agriturismi e degli alloggi gestiti in forma imprenditoriale), quel che preme evidenziare che il settore extralberghiero è cresciuto del’11% contro appena l’0,4 dell’alberghiero.
Per quanto riguarda la provenienza, il turismo nazionale e quello internazionale crescono più o meno allo stesso modo. Il secondo (quello che contribuisce di più negli impatti economici) cresce negli arrivi (+9%) ma non allo stesso modo nelle presenze (+5%). Fra i mercati tradizionalmente presenti in Sicilia, gli Stati Uniti e diversi mercati dell’est Europa raggiungono percentuali di incremento anche superiori al 50%. Non tutti i mercati crescono allo stesso modo, anzi per alcuni abbiamo una perdita, come nel caso del mercato francese (-19%) e dei Paesi Bassi (-11%). La Germania e la Spagna sono sostanzialmente stabili e rimangono ai valori del 2019. Infine crolla il mercato russo (-80%).
Una considerazione conclusiva. Al di là dei numeri e degli andamenti, le previsioni sul turismo regionale sono certamente ottimistiche. Ne sono prova gli importanti investimenti di grossi gruppi alberghieri internazionali in atto sull’isola. Quello che lasci ancora perplessi è la mancanza di visione in termini di governance regionale e locale. Le neo costituite DMO appaiono ancora fragili nella loro capacità di progettazione turistica.
La regione promuove diverse forme di turismo (come quello delle radici o quello enogastronomico) ma senza una visione d’insieme quanto meno di medio periodo. Ma soprattutto lascia interdetti la mancanza, a tutti i livelli di governance, di un pensiero sulla sostenibilità dell’industria turistica: nel pieno di una crisi climatica senza precedenti e con una emergenza idrica ormai conclamata, non soffermarsi sulla capacità di un territorio di sostenere l’impatto turistico senza che questo nuoccia al territorio stesso (e alla sua comunità) è oltremodo ingiusto e incomprensibile”.