Tra sacro e profano continua, senza freni, l’espansione turistica di Dubai. La capitale dell’Emirato arabo, pur essendosi ormai imposta all’attenzione del mondo economico, turistico e culturale mondiale resta un paese islamico. Tanto che la spaccatura tra la popolazione locale, (circa il 20%) i residenti e il crescente numero di turisti (6,3 milioni nel 2006 stimati a 15 milioni per il 2015) comincia a farsi sentire. Così, secondo quanto riporta la stampa, più di un ristorante a cinque stelle nega l’ingresso agli arabi che vestono l’abituale veste bianca mentre monta la protesta degli abitanti per le continue pubblicità di palestre e saloni di bellezza che impiegavano fotografie ‘esplicite’ utilizzando il corpo femminile. Non mancano, tuttavia, iniziative costruttive. Come quella di un’associazione, che dopo aver appreso da un sondaggio che i non originari del luogo non erano in grado di elencare il nome di tre piatti tipici locali, ha innalzato tende beduine nei centri commerciali più frequentati per dare agli stranieri l’occasione di conoscere la cultura e i valori religiosi del Paese che li ospita. Intanto anche il mondo alberghiero è corso ai ripari: colta l’opportunità di un boom turistico regionale attento all’eredità arabo-islamica, due catene alberghiere, la Tamani Hotel & Resort e la Shaza Hotels, dopo il successo dei primi esperimenti hanno annunciato la realizzazione di decine di alberghi concepiti nel rispetto della Sharia, la legge coranica. Non solo il tappetino da preghiera nel comodino o la freccia che indica la direzione della Mecca verso la quale i musulmani pregano, ma un ambiente tout-court, dal menù agli arredamenti, pensati nel rispetto dell’Islam.