Sui monti italiani non nevica più, ma sugli impianti sciistici continuano a piovere soldi pubblici. E al turismo “ecologico” rimangono le briciole. E’ il quadro che dipinge il rapporto “Nevediversa 2024” di Legambiente (disponibile qui). I dati sono sconfortanti. Nel 2024, sono 177 gli impianti sciistici temporaneamente chiusi per mancanza di neve, 39 in più rispetto al 2023 (92 sulle Alpi e 85 sull’Appennino). Le strutture aperte a singhiozzo sono 93, 9 in più rispetto al 2023 (55 sugli Appennini, 38 sulle Alpi). Quelle chiuse definitivamente sono salite a 260, dalle 249 dell’anno precedente (176 sulle Alpi e 84 sugli Appennini). La colpa di questo disastro, che lascia migliaia di lavoratori in mezzo a una strada, è della crisi climatica, provocata dalle emissioni umane di gas serra. Ma nonostante le chiusure, scrive Legambiente, “i finanziamenti d’oro non accennano a diminuire”. Sono “148 – spiega la ong – i milioni di euro destinati nel 2023 dal ministero del Turismo per l’ammodernamento degli impianti di risalita e di innevamento artificiale, a fronte dei soli 4 milioni destinati alla promozione dell’ecoturismo”.
Legambiente sostiene che gli impianti che sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico sono 241, 33 in più rispetto al 2023. Il grosso, 123, si trova sugli Appennini. In Piemonte, i fondi erogati per innevamento artificiale ammontano a 32.339.873 di euro per il biennio 2023-2025, contro i 29.044.956 di euro del biennio 2022-2024. La Regione Emilia Romagna ha stanziato 4milioni e 67mila euro per indennizzare le imprese del turismo invernale danneggiate dalla scarsità di neve. E nonostante le nevicate manchino, ha previsto 20 milioni di euro a fondo perduto per il nuovo impianto di risalita verso il lago Scaffaiolo. In Toscana, è stato depositato lo Studio di fattibilità della funivia Doganaccia-Corno alle Scale. Costo stimato 15.700.000 euro: 5,7 milioni a carico dello Stato, 10 milioni dalla Regione.
Per il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti, “è fondamentale che si avvii una conversione verso un modello di turismo montano invernale più sostenibile, in grado di andare oltre la monocultura dello sci in pista, tutelando al tempo stesso le comunità locali e chi usufruisce a livello turistico della montagna”.
Immediata la replica del ministro del Turismo Daniela Santanchè: “i comprensori sciistici italiani costituiscono un grande bacino di ricchezza per la nostra nazione: generano migliaia di posti di lavoro e importanti volumi d’affari, contribuendo in modo sostanziale al valore economico della montagna bianca italiana, pari a 22 miliardi di euro. Senza la neve programmata (che, oltre a sostituire, va anche a integrare la neve naturale) questi numeri non sarebbero pensabili né, men che meno, raggiungibili. Gli impianti di innevamento e di risalita, per altro, sono tutti prodotti in Italia. Ciò significa che le ricadute e le esternalità positive derivanti dal loro funzionamento vanno a beneficio di un territorio ben più vasto del singolo comprensorio sciistico. Con ogni euro investito in impianti di risalita che produce 10 euro di ricadute sul territorio. Tutto questo non può lasciare indifferenti. Anzi, alla luce di ciò, capiamo quanto il comparto della montagna italiana – oltre a essere un tesoro naturale, paesaggistico e ambientale – è strategico, e direi irrinunciabile, per la prosperità del nostro turismo”.
Ecco perché il ministero vuole essere così vicino al settore, sia mettendolo al centro dell’agenda, sia con investimenti importanti. “Ad oggi, come noto, – dice la Santanchè – abbiamo destinato oltre 250 milioni di euro a sostegno del processo di rinnovamento della montagna italiana, sotto forma di finanziamenti per interventi innovativi e sostenibili, dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Sostenibilità (economica, sociale e ambientale) che non può prescindere da una logica destagionalizzante, con cui sviluppare una nuova idea di montagna, vivibile per le comunità e visitabile per i turisti a prescindere dalle condizioni climatiche e dalla stagione. Motivo per cui il Piano strategico del turismo che abbiamo adottato lo scorso anno, dotando il comparto di una visione integrata di lungo periodo, individua una serie di linee guida da seguire per passare da un modello stagionale-polarizzato a uno multi-asset”.
Secondo la ministra “un’idea, come condiviso anche con i partecipanti al tavolo degli Appennini della scorsa settimana, è promuovere sempre più forme di turismo alternativo, dal turismo enogastronomico a quello dei cammini, dal cicloturismo al turismo scolastico, coinvolgendo il tessuto locale di imprenditori agricoli affinché il comparto sia realmente percepito come industria in cui ciascuno non può fare a meno dell’altro”.