Pandemia, guerra e innalzamento dei costi energetici. Sono questi gli elementi che dal 2019 ad oggi hanno messo a dura prova il settore delle strutture ricettive gestite o di proprietà di enti religiosi, causando una contrazione dell’offerta da 220.000 a 180.000 posti letto, tra quelli destinati a soggiorni spirituali, turistici, lavorativi o studenteschi.
Lo rileva l’annuale rapporto dell’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana, il cui presidente Fabio Rocchi precisa però che “non si tratta quasi mai di perdite assolute, ma piuttosto di una costante riconversione ad altre destinazioni, come residenze per anziani, accoglienza per immigrati, ospitalità ai profughi ucraini o altre finalità sociali”.
Le strutture ricettive del settore religioso e destinate al grande pubblico in Italia sono circa 2400, con una media di 74 posti letto ciascuna, gestite da ordini, congregazioni, diocesi e parrocchie o di loro proprietà, a cui se ne aggiungono altre 500 di impronta laica no-profit.
Per quelle di matrice religiosa, Roma e il Lazio rappresentano la fetta più ampia (29.484 posti letto), seguiti dal Veneto (19.397) e l’Emilia-Romagna (16.515).
Nella “densità” dei letti disponibili, spicca invece la Valle d’Aosta con 27 posti letto ogni 1000 abitanti, seguita da Umbria (11) e Friuli-Venezia Giulia (8). In confronto al territorio, torna il Lazio con 27 strutture ogni 1000 kmq, seguito dalla Liguria (21).
Tra i servizi più diffusi dell’ospitalità religiosa: il parcheggio auto (presente nel 73% delle strutture), il giardino (70%), la sala riunioni (68%) e il Wi-Fi (67%). Un terzo delle case si trova in città, un terzo in zone di montagna e l’ultimo terzo suddiviso tra mare e natura.