Concessioni balneari, sentenza getta nel caos balneari: Garavaglia prova a mediare

Da un lato gli ambientalisti che gridano alla vittoria, riportando in un certo senso in auge il tormentone “Ce lo chiede l’Europa” e adesso anche “la giustizia amministrativa”. Dall’altro i proprietari degli stabilimenti balneari di tutta Italia che urlano alla sentenza ingiusta, minacciano che oltre un milione di persone rischia di perdere il lavoro e parlano di “ingiustizia”. Nel mezzo i partiti che si schierano da una parte o dall’altra, con il governo Draghi che cerca di mediare. Poi ci sono i numeri che parlano chiaro e che spiegano chiaramente che l’Italia si è lasciata troppo “prendere la mano” con la concessione di spiagge, un tempo pubbliche, ai privati.
Era un destino di polemiche all’interno dell’eterna lotta tra interessi economici a breve termini e ambientali di lunga visione l’ultima sentenza del Consiglio di Stato, che ha fissato al dicembre 2023 e senza possibili proroghe la scadenza delle concessioni balneari.
Così il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini saluta come una vittoria la sentenza, dichiarando: «Ora si spera che le cose possano cambiare e migliorare, accelerando nella direzione della qualità e della sostenibilità». L’associazione ambientalista nel suo Rapporto 2021 aveva denunciato l’occupazione sempre più aggressiva a danno delle coste italiane con oltre il 50% delle aree costiere sabbiose sottratto alla libera e gratuita fruizione e un aumento in tutte le Regioni delle concessioni balneari, che nel 2021 sono arrivate a quota 12.166, contro le 10.812 degli ultimi dati del Demanio relativi al 2018, registrando un incremento del 12,5 per cento.
Di tutt’altra visione le associazioni dei balneari, dove monta la rabbia e si compatta la rivolta per una sentenza che viene sentita ingiusta e che ora, denunciano, «getta il turismo balneare nel caos. Il governo ci convochi subito». Un comparto anche questo dai numeri alti, che in Italia conta 30 mila aziende, quasi tutte a conduzione familiare, con 800 mila lavoratori coinvolti tra diretti e indotto e un volume d’affari di 15 miliardi di euro.
Un confronto testa contro testa il sui suono dello scontro arriva fino ai palazzi del potere di Roma, anche qui schierati su due fronti opposti: da una parte M5s e Pd, che come gli ambientalisti plaudono alla ritrovata legalità e concorrenza, dall’altra un fronte compatto di Lega, FI e FdI che a testa bassa attacca la decisione dei giudici.
Il ministro del Turismo, in quota Lega, Massimo Garavaglia prova a placare gli animi: «Il Consiglio di Stato di fatto ha aperto un problema che prima non c’era. Voglio però guardare il bicchiere mezzo pieno: ora bisognerà trovare una soluzione definitiva per un settore che tutti gli anni era in ambasce. A fronte di questa sentenza, governo e parlamento dovranno trovare una soluzione definitiva».
La questione che divide è anche legata ai soldi, con i sostenitori della sentenza che puntano il dito sul prezzo troppo basso delle concessioni, che attualmente portano nelle casse dello Stato non più di cento milioni di euro all’interno di un volume di affari da 15 miliardi e i concessionari delle spiagge che sostengono di «pagare il 65 per cento di tasse» dal loro giro di affari. In più il presidente di Federbalneari Marco Maurelli aggiunge che Il problema è nella data fortemente anticipata, che toglie ai gestori dei lidi italiani ogni certezza sul futuro, vanificando mutui e investimenti fatti dopo che l’allora governo giallo-verde con la finanziaria del 2018 aveva esteso al 2033 la proroga delle concessioni. Aspettiamo ansiosi che il governo ci convochi». Sulla stessa linea il presidente di Assobalneari Confindustria Fabrizio Licordari, per il quale la sentenza «crea un danno economico enorme al comparto del turismo e a tutta la filiera produttiva che gravita intorno alle imprese balneari. Ci stiamo muovendo per incontrare i leader di tutti i partiti – spiega – dovranno ascoltarci e aiutarci».

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