Un ruolo più forte delle autorità portuali, una nuova classificazione degli scali, ma non l'autonomia finanziaria invocata da molti presidenti: la riforma dei porti è stata approvata dal consiglio dei ministri ma non privatizza la gestione dei porti (così come avviene in Nord Europa), preferendo un modello ancora 'pubblicistico' e limitandosi a chiarire ulteriormente le attività a gestione pubblica da quelle riservate ai privati.
La riforma divide i porti marittimi in porti la cui gestione è di competenza 'statale' (cioè quelli finalizzati alla difesa militare ed alla sicurezza dello Stato, e quelli di rilevanza economica nazionale ed internazionale) e porti di competenza regionale, vale a dire quelli di rilevanza regionale e interregionale. Quelli di rilevanza economica nazionale e internazionale sono amministrati in autonomia dalle Autorità portuali, mentre quelli di rilevanza regionale e interregionale saranno amministrati da un'autorità regionale quando e se istituita delle singole regioni con una propria legge.
Viene quindi affidata in via esclusiva alle Autorità portuali (e alle autorità portuali regionali) l'amministrazione delle aree e dei beni del demanio, le funzioni di indirizzo, programmazione, coordinamento, regolazione, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e industriali esercitate nei porti e nelle aree demaniali marittime comprese nella relativa circoscrizione, oltre al ruolo di coordinamento delle attività esercitate dagli enti e dagli organismi pubblici nell'ambito dei porti e nelle aree demaniali marittime comprese nella circoscrizione territoriale.
"Mi auguro – ha detto il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli aggiunge – che in Parlamento ci possa essere un sereno e proficuo confronto tra maggioranza ed opposizione che consenta tra l'altro di affrontare le problematiche inerenti il processo di autonomia
finanziaria delle Autorità portuali non ancora ultimato, pur consapevoli delle difficoltà dovute alla congiuntura economica".