Coinvolgere i produttori vitivinicoli italiani per il restauro e il recupero di 147 luoghi d'arte a rischio in Italia. E' questo l'obiettivo del progetto "Gli italiano restaurano l'Italia" promosso dall'associazione "Amo l'arte Amo l'Italia onlus" con il patrocinio della Provincia di Palermo, dell'Urps, della Regione Siciliana e dell'Istituto regionale della Vite e del Vino che è stata presentata oggi a palazzo Comitini dal presidente della Provincia Giovanni Avanti, dal presidente dell'associazione "Amo l'arte Amo l'Italia" Aldo Pagano, e dai vertici dell'Istituto regionale Vite e Vino. L'iniziativa verrà illustrata anche al prossimo Vinitaly di Verona dal 25 al 28 marzo.
"Si tratta di un'iniziativa – ha spiegato Avanti – che punta a creare una stretta sinergia fra due delle principali risorse del nostro paese. Da un lato il settore vinicolo che sta attraversando, anche in Sicilia, una fase di grande espansione e dall'altro il comparto dei beni culturali che vive invece un periodo di forte sofferenza a causa dei tagli finanziari a livello nazionale e regionale. Il progetto nasce da un soggetto privato, ma ha trovato subito adesione da parte dei partner pubblici, nella consapevolezza che solo da una attiva collaborazione possono nascere nuove soluzioni per intervenire concretamente sul nostro patrimonio culturale e creare così nuova economia. La vetrina del Vinitaly sarà una vetrina significativa per coinvolgere i produttori in un percorso che promette di aprire una pagina nuova per il recupero dei beni culturali".
La rassegna veronese servirà a mettere a punto i contatti già avviati con gli imprenditori vinicoli per il lancio dell'iniziativa. In questa occasione sarà presentata anche la mostra "Vinum Nostrum – Arte, scienza e miti del vino nelle civiltà del mediterraneo antico" con foto e video per raccontare, attraverso il vino, millenni di storia, dall'Antico Oriente antico fino ai vigneti di Pompei.
"Sono 147 – ha sottolineato Aldo Pagano – i luoghi d'arte a grave rischio (in testa il Piemonte con 48). Tralasciando i fin troppo noti casi di Pompei e delle Mura Aureliane di Roma, nella lista si trovano le mura della città-fortezza a forma di stella di Palmanova in Friuli, le celebri ma instabili torri bolognesi Garisenda e degli Asinelli, le mura di San Gimignano in Toscana, la chiesa di Sant'Ignazio al Collegio Romano a Roma, la Villa Reale di Monza in Lombardia; il centro storico dell'Aquila; il villaggio preistorico di Nola (Napoli); il tempio di Apollo a Selinunte in Sicilia ingabbiato dalle impalcature; il Real Sito di Carditello in Campania, sontuosa residenza dei Borbone, o in abbandono. E come dimenticare (sempre a proposito dei "cattivi" Borbone) la Fonderia Ferdinandea voluta da Ferdinando II in Calabria, eccezionale esempio di archeologia industriale del Settecento? O la Certosa di Calci per la quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, dopo avere speso quasi due milioni di euro in dieci anni, chiede ora il sostegno dello Stato? Ma il ministero dei Beni Culturali non risponde".