Nessuna fatalità. A causare la morte di 16 persone nell’incidente avvenuto il 6 agosto 2005 all’Atr 72 della Tuninter, fu un errore umano. Per questo, ieri, il gup Vittorio Anania ha ritenuto responsabili della tragedia aerea sette dei nove imputati: pilota e copilota del velivolo (condannati alla pena più severa, 10 anni) e cinque tra dirigenti e tecnici della Tuninter. Due gli assolti. Una sentenza dura – 62 anni di carcere complessivi – nonostante le riduzioni di pena consentite dal rito abbreviato scelto dagli imputati. "Abbastanza soddisfatti" del verdetto, si dicono i familiari delle vittime; mentre annunciano appello i legali del direttore generale della compagnia. La tesi dei pm, dunque, ha retto: i motori del velivolo, partito da Bari e diretto a Djerba, con 34 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio, si spensero perché erano a secco e nessuno se ne accorse perché sull’aereo erano stati montati indicatori di carburante di un altro modello di Atr. Errore umano, dunque. E sempre l’errore umano sarebbe stato causa dell’ammaraggio. Dall’inchiesta è emerso che il pilota, il tunisino Chafik Gharbi, proseguì il volo, dopo essersi accorto che i motori si erano fermati, nonostante avesse tutto il tempo di atterrare a Palermo. E non sarebbe questa l’unica colpa del comandante che, invece di applicare il protocollo d’emergenza, preferì invocare Allah. I concitati momenti che precedettero l’ammaraggio lasciarono le loro tracce sulla scatola nera, recuperata a 1500 metri di profondità. Dai nastri risulta che Gharbi perse completamente il controllo della situazione, lasciando il posto di comando e mettendosi a pregare.