Il crollo delle fiere al tempo del covid e il flop di quelle digitali

Nel post pandemia, l’internazionalizzazione del Made in Italy e lo sviluppo economico del Paese passano dall’industria fieristica italiana: è quanto emerge da “L’Italia delle Fiere internazionali”, la prima edizione del Rapporto economico-scientifico sul legame fra l’economia italiana e il suo sistema fieristico, realizzato dai Centri studi di Fondazione Fiera Milano e Confindustria in collaborazione con Cfi-Comitato fiere industria.

L’analisi mette a confronto i quattro Paesi europei a maggiore vocazione fieristica, ovvero Italia, Germania, Francia, Spagna, ed evidenzia come la pandemia abbia colpito duramente le fiere: rispetto al 2019 si stima che il fatturato a livello mondiale sia calato del 68% nel 2020 e del 59% nel 2021. Per il 2022 si auspica che sia più contenuto e si fermi intorno al 21%, come affermato dal presidente della Fondazione Fiera Milano, Enrico Pazzali, ma al momento la stima non include l’impatto del conflitto in Ucraina.

Prendendo in analisi il periodo 2015-2019, in Italia, Germania, Francia e Spagna si sono svolte più della metà (54%) delle fiere internazionali con una occupazione dello spazio netto affittato del 76%. In questi quattro Paesi si è registrata la partecipazione del 69% dei visitatori totali e del 74% degli espositori. L’Italia rappresenta il 23% delle superficie affittate, la Germania, il principale competitor, il 50%, mentre la Francia il 16% e la Spagna al 12%.

Nel 2020, con i quartieri fieristici chiusi, gli organizzatori hanno provato a rispondere con le fiere digitali. Ma la partecipazione alle manifestazioni virtuali è risultata limitata sia per i visitatori sia per gli espositori, con soddisfazione bassa.

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