lunedì, 23 Dicembre 2024

A Selinunte una mostra che riproduce le macchine per costruire i templi

Conoscere le tecniche di costruzione del templi, le macchine impiegate per spingere gli enormi blocchi di pietra, quanti operai venivano impiegati, quanto durava una costruzione. A questo punta a rispondere l’imponente mostra “Ars aedificandi”. Il cantiere del mondo classico” aperta al pubblico tra le Cave di Cusa e il parco archeologico di Selinunte. La mostra nasce dalle descrizioni puntigliose del trattato “De Archictetura” di Vetruvio scritto alla fine del I sec. a.C. e giunto a noi pressoché integro. L’esposizione, che sarà visitabile per un anno, è prodotta da MondoMostre in collaborazione con il Parco di Selinunte diretto da Felice Crescente e promossa dall’assessorato regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana.

“È una grande opportunità per meglio comprendere l’origine del patrimonio monumentale che ci è stato consegnato dal passato e che i nostri parchi archeologici custodiscono – ha spiegato l’assessore regionale ai Beni culturali Alberto Samonà – Ci fa comprendere con il supporto di ricostruzioni fedeli di macchinari, come sono sorti i grandi templi, avvicinando i visitatori e i giovani alla scoperta e alla comprensione delle tecniche e dei procedimenti costruttivi del passato”.

La mostra si avvale di un comitato scientifico molto qualificato ed è curata dagli architetti Alessandro Carlino, storico dell’architettura e studioso dei templi e Bernardo Agrò, già direttore del Parco di Selinunte.

La mostra nasce con l’obiettivo dichiarato di coinvolgere il pubblico nella comprensione delle tecniche e dei processi che furono compiuti anticamente per erigere i templi di Selinunte attraverso la ricostruzione in scala 1:1 di un vero e proprio cantiere. Sulla collina orientale e sull’Acropoli sono state ricostruite – a grandezza naturale – dieci “macchine” tra cui una gru (alta 12 metri, riprodotta in scala reale), carri e slitte per il trasporto del materiale lapideo; strumenti di misura come il corobate (strumento romano usato per misurare la pendenza del terreno).

Il percorso della mostra parte da Cave di Cusa da dove vennero estratti i materiali per la costruzione dei templi selinuntini: le cave sono un vero manuale dei sistemi di scavo, la brusca interruzione dei lavori di estrazione – al sopraggiungere dell’esercito cartaginese – ha fatto sì che venissero abbandonati persino i rocchi finiti, pronti per essere trasportati. Accanto agli enormi blocchi del Tempio G, è stata posizionata la riproduzione della “slitta” che serviva al trasporto, scivolava su rulli di legno e veniva trasportata dai buoi; vicino, ecco la Macchina di Chersifrone (usata per il trasporto dei rocchi più imponenti tramite rotolamento, intelaiato con travi di legno connesse all’asse di rotazione del tamburo) e della Macchina di Metagene (dal nome del figlio di Chersifrone) utilizzata invece per il trasporto degli architravi: una ruota lignea dentro la quale inserire i blocchi che potevano così rotolare trainati da animali da soma dalla cava fino alla fabbrica.

 

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