venerdì, 26 Aprile 2024

La toppa peggio del buco?

Il punto di vista

Sostiene Philip Kotler, arcinoto esperto di marketing, che ci sono solo due tipi di imprese: quelle che cambiano e quelle che scompaiono.
Affermazione brutale, ma che trae il suo ammonimento dall’analisi del mercato attuale: internazionale, turbolento e ipercompetitivo, ivi incluso quello turistico. Dove per operare con profitto, insieme a strategie efficaci ed efficienti di marketing, occorrono anche stanziamenti adeguati. L’azienda turistica Italia rischia di fare quella fine? Due esempi: nel 2005, secondo un’indagine di Confindustria, la Francia ha investito nel comparto turistico, a livello aggregato, 17,8 miliardi di dollari; la Spagna 12,9 miliardi di dollari. L’Italia invece solo 13 miliardi di dollari, pari allo 0,8 del Pil. Stanziamento insufficiente, come al solito del resto, a parere degli organismi rappresentanti gli operatori turistici.
Lo stanziamento inadeguato, peraltro, è concausa, ma non la principale, della debolezza della nostra offerta turistica. La vera differenza tra il sistema Italia e i suoi concorrenti (sempre più numerosi) è in termini di marketing; tutti gli studi e le analisi concordano su un punto: soprattutto nel turismo, per stare competitivamente sul mercato, sarà sempre più importante il soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze dei turisti, quella che gli addetti chiamano la “qualità percepita”. I turisti sono diventati una categoria di consumatori molto sofisticata: per questa ragione dovrebbe essere compito di chiunque abbia a che fare con loro (dal vigile urbano all’operatore dei trasporti pubblici al ristoratore su su fino agli albergatori e al loro personale) esercitare grande professionalità, attenzione ai particolari, disponibilità. In una parola: cultura dell’accoglienza, di qualità. E formazione continua. Ovvero: valorizzazione delle risorse umane, vera pietra angolare di qualsiasi strategia di marketing. Per questa ragione gli stanziamenti pubblici dovrebbero essere indirizzati prevalentemente a questo scopo.
P.S.: intanto che scrivevamo queste note, Confturismo-Confcommercio approntava con il contributo del Cnr uno studio (presentato al convegno del comitato nazionale Giovani albergatori di Federalberghi tenutosi a Rimini il 24 novembre) che esamina come è cambiata la spesa per il turismo da quando, nel 2001, con la modifica del titolo V della Costituzione, la competenza turistica è passata alle Regioni. Dati che, sintetizziamo, dimostrerebbero che per attrarre turisti si spende, e anche molto, seppure in maniera disomogenea; tanto che la spesa per raggiungere l’obiettivo è diventata ormai un costo fisso che, nel 2006, con l’esborso totale di 1.812.977.000 euro avrebbe superato i ricavi. Dimostrando così che non sempre chi più spende ottiene i risultati migliori; dipende infatti da come si spende, ricorda a questo proposito Fabio Lazzerini, amministratore delegato di Amadeus Italia: “Se i dati di Confturismo corrispondono alla realtà, credo che possiamo domandarci se una maggiore imprenditorialità non avrebbe contribuito a rendere il marketing regionale ancora più efficace”.

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