L’albergatore che non versa al Comune (o versa in ritardo) il denaro raccolto con la tassa di soggiorno commette il reato di peculato. La tesi della procura di Torino, dove da mesi sono stati avviati numerosi procedimenti penali per queste inadempienze, ha trovato il conforto della Cassazione, che ha confermato la condanna a due anni di carcere per il responsabile di un hotel processato per avere trattenuto 15 mila euro.
La somma doveva essere destinata al Comune di Torino. Solo lo scorso febbraio la Guardia di finanza ha denunciato trenta albergatori dell’Alta Valle di Susa per l’omesso versamento di un totale di 300 mila euro.
L’albergatore torinese pagò le somme relative al secondo e al terzo trimestre del 2015 con un ritardo (alcuni mesi) definito “inescusabile” dai giudici, e “solo a seguito delle diffide della polizia municipale”.
A differenza di quanto sostenuto dalla difesa, la Cassazione ha sancito che “nel momento dell’incasso dell’imposta di soggiorno il gestore alberghiero è qualificabile come agente contabile nei confronti del Comune” e, quindi, pur essendo amministratore di un’azienda privata, diventa a tutti gli effetti un “incaricato di pubblico servizio”.
Secondo gli Ermellini, la Corte d’appello di Torino ha correttamente qualificato l’episodio come un “peculato per appropriazione” perché “quel denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso della consegna” da parte del cliente e “ad esso non può essere data alcuna diversa destinazione”. La sentenza dei giudici subalpini è stata annullata senza rinvio soltanto per le cosiddette “statuizioni civili”. Il Comune di Torino, infatti, il 19 aprile ha ritirato la costituzione di parte civile dopo avere ottenuto dall’albergatore un risarcimento e la rifusione delle spese legali.