venerdì, 8 Novembre 2024

Cultura, turismo e innovazione asset fondamentali per il Belpaese

L’occupazione nel settore cultura cresce in Europa. E anche in Italia: 614 mila persone impiegate nel 2015, con un significativo aumento (+3,7%) rispetto al 2011. In Germania, però, sono circa il doppio e nel Regno Unito l’84% in più. E una parte consistente dell’occupazione culturale non è generata direttamente dalle imprese dell’Industria Culturale e Creativa (ICC), ma da quelle di altri settori e dal pubblico. Sono alcuni dei dati emersi dal III Rapporto annuale dell’Associazione Civita, “L’Arte di produrre Arte. Competitività e innovazione nella cultura e nel turismo” (ed. Marsilio – pp. 307).

Al centro dello studio di quest’anno, curato da Pietro Antonio Valentino, il tema dell’innovazione, in particolare quella prodotta dalla rivoluzione informatica e dalla diffusione del digitale che ha modificato sia le modalità di produrre e consumare cultura che il rapporto fra domanda e offerta nel settore turistico.

Ma quali sono le ragioni che rendono il settore culturale e creativo strategico per le economie nazionali e territoriali? La prima, dice il Rapporto, è che in tutti i paesi l’occupazione culturale ha subito meno gli effetti della crisi. In Italia, dopo 5 anni sono ancora in piedi il 42% delle nuove aziende dell’audiovisivo, il 40% del design, il 34% dell’intrattenimento e arti visive, il 40 di Musei, biblioteche e archivi, facendo in alcuni casi anche meglio di altri big europei.

La seconda riporta al tema della “rivoluzione informatica” che estende il mercato a una dimensione sempre più internazionale. L’export mondiale di cultural goods (i prodotti culturali destinati al consumo finale), si legge nel Rapporto, nel 2013 ha superato i 212 miliardi di dollari e nel periodo 2009-2013 è cresciuto del 42,5%. A queste cifre bisogna aggiungere poi l’export dei servizi culturali, di più difficile rilevazione statistica. Il dato disponibile (2012) e limitato ai paesi più industrializzati lo valuta circa 100 miliardi di dollari.

La rivoluzione digitale incide poi fortemente nei consumi di nuove fasce di fruitori, i cosiddetti turisti creativi, nelle attività culturali “tradizionali” come le visite ai musei, ma anche in tutte quelle attività legate alla cultura di un territorio (dalla moda alla gastronomia). Un esempio viene dall’esperienza delle Capitali Europee della cultura, che nel periodo 1996-2000, nell’anno ”in carica” hanno portato incrementi di visitatori fino al 75% a Weimar, del 15% a Thessaloniki e del 12,1% a Bologna (media 7,4%).

”Cultura, innovazione e turismo: tre parole che non sono mai state messe troppo insieme in Italia. E che invece rappresentano un asset fondamentale per il paese. Perché innovare oggi vuol dire anche rendere internazionale la nostra capacità di attrarre. C’è molto da fare ancora. Ma fare cultura, turismo e innovazione può e deve voler dire anche creare nuovi posti di lavoro”, ha detto Nicola Maccanico, vicepresidente vicario di Civita, dati alla mano del nuovo Rapporto dell’associazione.

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