venerdì, 10 Maggio 2024

Censis, l’Italia resta quarta nel mondo

Bisogna fare sistema per “difendersi” dall’avanzare di Cina e Russia

Da circa 30 anni l’ Italia tiene la quarta posizione nel mondo per numero di turisti stranieri, dopo Francia, Spagna e Stati Uniti. Ma nell’ ultimo decennio i paesi concorrenti hanno guadagnato terreno a marce forzate (la Cina è
passata dalla quindicesima posizione del 1980 alla quinta nel 2001, la Russia dalla ventinovesima alla settima), e si è allargato il gap dell’ Italia con il resto del quartetto di testa. Sono questi alcuni dei dati presentati dal direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, alla Conferenza nazionale sul Turismo delle Province Italiane conclusosi oggi a Venezia. Se infatti negli ultimi 20 anni la presenza degli stranieri in Italia è salita con una media annua del 3,8%, in Francia la media è stata del 7,2%, in Spagna del 6% e negli Usa del 5,1%. E tutto questo accade nonostante la straordinaria concentrazione di valori artistici, storici e paesaggistici del Paese, ha sottolineato Roma, la consistente offerta ricettiva e la vitalità dell’ imprenditoria del settore. Senza considerare quanto ancora si potrebbe fare, con 40 mila edifici storico-culturali bisognosi di restauro, 1500 conventi abbandonati e i 20 mila piccoli centri storici che potrebbero costituire veri e propri musei diffusi. ”Quel 3% di crescita che ci manca – ha osservato Roma – si deve al fatto che non abbiamo un sistema paese che scommetta sul
turismo. Non riusciamo a guardare alle risorse del turismo come ad un fattore di crescita per il Pil, e continuiamo a pensarlo come un settore dei servizi, mentre è una vera e propria industria. Un’ industria che vede aumentare gli occupati, anche quando le grandi aziende manifatturiere ne perdono”. Eppure, per rendersi conto di quanto il settore sia determinante, basta ricordare – ha detto ancora Roma – che, con i suoi 143,2 miliardi di euro di fatturato, il turismo contribuisce al Pil nazionale per una quota pari all’11,8% e che, nonostante il calo dei suoi introiti, il 10,9% dei consumi finali interni (83 miliardi di euro) è da attribuirsi a spese di tipo turistico. ”Ciononostante – ha evidenziato – il turismo resta un comparto residuale dell’ investimento pubblico e dell’attenzione politica”. E la spesa delle Regioni in questo settore ha subito tra il 1991 e il 2001 una battuta di arresto, ha aggiunto, passando dai 906 ai 900 milioni di euro – esclusi i fondi speciali per le Olimpiadi in Piemonte e pur tenendo conto dell’ impegno di Lombardia, Veneto e Calabria – e di fatto scendendo di circa il 40% se si tiene conto anche dell’inflazione. Ma intanto si sta affermando un nuovo modello italiano del turismo, centrato non solo sui valori tradizionali del buon clima, del paesaggio e del patrimonio artistico e monumentale, ma anche una crescente domanda di tipicità locale connessa all’attrattiva dello stile di vita italiano. Ecco dunque l’
affermarsi di ben 522 ”città del vino” – localizzate
soprattutto in Piemonte (92), Toscana (55), Campania (40) e
Veneto (38) – e 29 città ”slow” come Orvieto, Todi, Greve in Chianti ma anche S. Daniele del Friuli. Vi è dunque un sempre maggiore interesse verso un ”turismo territoriale” centrato sulla rete del patrimonio storico ”minore”, ma che vede la meta’ degli italiani visitare almeno una volta l’ anno un castello, un monastero, un casale o un borgo medievale. Ed è proprio qui, ha rilevato Roma, che sorge
la necessità di una integrazione sistemica efficace tra le
risorse del territorio, e una necessità di coordinamento
intermedia tra il rischio di un verticismo regionale e quello
dell’ iper-decentramento comunale. ”Un imprescindibile ruolo di condensazione concertativa – ha concluso – può essere dunque svolto proprio dalle Province”, con il duplice ruolo di selezionare i sistemi turistici locali previsti dalla legge 135/2000 e di promuovere in modo coordinato anche il restante e più frammentato territorio ”minore”.

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