domenica, 7 Luglio 2024

Ponte sullo Stretto, il No di siciliani e calabresi doc (3)

Sottoscritto l’appello degli ambientalisti

Le indiscrezioni sul progetto rasentano il ridicolo: la nuova versione prevederebbe un abbassamento di 15 metri dell’impalcato originale (da 65 circa a 50), tagliando fuori il Porto di Gioia Tauro, il primo scalo marittimo commerciale italiano (con oltre 2.600.000 Teus – grandi container di movimentazione annua) in cui arrivano portacontainer, sino a 60-70 metri fuori tutto; ci risulta che lo Studio di Impatto Ambientale sia ancora in alto mare e crediamo che permangano serie difficoltà a giustificare un’opera che avrà pesantissime ricadute sul territorio. Infine, per recuperare in 15 anni l’investimento ci sarebbe bisogno di pedaggi dal costo quattro volte superiore alle attuali tariffe del traghettamento». Gli ambientalisti e i sottoscrittori dell’appello sono seriamente preoccupati per lo sviluppo del Mezzogiorno e ricordano che invece di destinare circa 5 mila milioni di euro a una sola opera, si deve intervenire prioritariamente per adeguare le ferrovie (in particolare quelle siciliane, per oltre il 95% a unico binario e solo per meno del 10% elettrificate) e potenziare la ferrovia calabro-lucana, completare il potenziamento dell’A3 Salerno Reggio Calabria e procedere all’adeguamento della Statale 106 Ionica, completare l’autostrada Messina-Palermo, ammodernare e ampliare le statali Palermo-Agrigento e Caltanissetta-Agrigento-Sciacca. A sostenere tesi analoghe l’Associazione Nazionale Costruttori Edili – ANCE che ritiene sia difficile considerare il Ponte come «un’opera vitale per l’economia del Mezzogiorno – la cui realizzazione richiederebbe una mole di risorse pari, se non superiore, a quella che sarebbe necessaria a dotare finalmente di infrastrutture efficienti ed europee due intere regioni italiane: la Calabria e la Sicilia» (dal documento presentato al Convegno promosso dall’ANCE lo scorso 26 settembre su “Il mercato delle opere pubbliche”). Ma anche la Confartigianato che in sondaggio reso pubblico il 18 agosto scorso attesta come l’80% dei piccoli imprenditori meridionali non ritiene che il pacchetto governativo di opere strategiche possa soddisfare l’esigenza di infrastrutture al Sud. Ed è Mario Tozzi, testimonial della campagna degli ambientalisti, a ricordarci «Cosa ce ne facciamo di un ponte che rimane in piedi se il terremoto è veramente «solo» di magnitudo 7,1 Richter? Invece di riunire due future aree cimiteriali – Reggio Calabria e Messina – non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri denari nella ristrutturazione di città che hanno solo il 25% antisismico in un’area (Sicilia nord-orientale e Calabria meridionale) che è considerata la più alto rischio sismico del Mediterraneo (dove a partire dal IX secolo si sono succeduti tredici terremoti di intensità superiore al VII grado della scala Mercalli. Tutto questo per realizzare un ponte a campata unica di 3360 metri, quando non esiste al mondo una struttura analoga superiore ai 1500 metri di lunghezza, che dovrebbe essere tanto elastico da oscillare 12 metri in orizzontale e 9 metri in verticale. E che, al di là delle insuperate difficoltà strutturali, dovrebbe essere sorretto da due piloni di 400 metri di altezza, piantati nel terreno a 50 metri di profondità, realizzati con 500.000 metri cubi di cemento che scempierebbero il territorio. Senza tener conto che per fare tutto quel cemento c’è bisogno di estrarre il calcare in luoghi vicini, il ché comporta aprire decine di cave nell’area dello Stretto con uno sfregio ambientale irreversibile».

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