Per il settore del trasporto aereo il 2020 potrebbe essere l’anno zero, con la Iata che stima 39 miliardi di dollari di perdite fin dal secondo trimestre 2020 per l’insieme dei vettori globali e un salasso da 61 miliardi delle riserve di cash.
“I mesi successivi all’11 settembre sono stati difficili, ma questa è un’emergenza globale, di altra portata – commenta all’ANSA l’analista britannico David Paul Gleave -: il problema non è solo come volare negli Usa, ma proprio la cancellazione di tutti i voli”. Che sono stati più di 100mila, nell’ultima settimana nella sola Europa, con una riduzione fino all’90% dei collegamenti internazionali rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
“Molte compagnie aeree guadagnano in estate, e perdono soldi in inverno. Se questa situazione proseguirà, numerosi vettori sono destinati a fallire ancor prima che avremo trovato il vaccino contro il coronavirus”, avverte Gleave.
Gli unici collegamenti internazionali ancora garantiti sono quelli per il rimpatrio di connazionali, i cargo che trasportano materiali sanitario e quelli militari. E senza una data certa per la riapertura dei voli commerciali, le previsioni economiche – nel breve termine – appaiono sempre più allarmanti. Lufthansa, il più grande gigante d’Europa, ha già dimezzato la sua flotta per aprile, quando si toccherà il picco dell’attuale bufera.
“Solo un paio di settimane fa l’International Air Transport Association (Iata) calcolava a regime perdite a livello mondiale per 113 miliardi di dollari, salite negli ultimi giorni a 252 – sottolinea Chris Tarry, fondatore della società di consulenza CTAIRA -. Equivale a circa il 40% del fatturato 2019. Ne seguirà una ripresa drammaticamente lenta”, se va bene.
Azzerate le rotte transoceaniche, le compagnie più esposte alla crisi sono quelle con minor liquidità, che operano principalmente a livello domestico. Come la britannica BMI, fallita già in febbraio quando appena si registravano i primi effetti dell’epidemia.
Per affrontare il crollo di prenotazioni, l’Unione Europea ha sospeso, fino a ottobre, le norme sugli slot aeroportuali, che costringono le compagnie aree a far volare aerei anche vuoti per non perdere le bande orarie l’anno successivo. Ma secondo gli esperti serviranno almeno 200 miliardi di dollari (sotto forma di prestiti e tagli di tasse) per salvare l’aviazione civile e scongiurare un catastrofico effetto domino su scali, industria aeronautica e attività commerciali.
“Nonostante gli sforzi degli Stati per proteggere le compagnie e i loro dipendenti, dobbiamo rassegnarci a vedere molte di queste fallire. E anche chi sopravvivrà diverrà inevitabilmente più piccolo”, allarga le braccia Tarry. Un ridimensionamento giustificato dal mercato, che – per il 2020, in Europa – intravvede un calo del 46% della domanda. Primo segnale di quello che – guardano oltre gli esperti – potrebbe preludere ad un radicale cambio di abitudini: meno viaggi d’affari sostituiti da videoconferenze, come è d’obbligo adesso; meno vacanze in remote mete esotiche a favore di spostamenti magari in treno, a corto raggio, di minor impatto ambientale. Quasi l’effetto di una ‘rivoluzione virale’.