martedì, 5 Novembre 2024

Una mostra per ricordare Topazia Alliata, artista e pioniera di tendenze e cultura

Fotografie, disegni, lettere e dipinti racconteranno, nel contesto di una mostra, la vita di Topazia Alliata di Salaparuta, nobildonna palermitana che è stata pittrice, gallerista, talent scout, ma anche imprenditrice enologica di successo, viaggiatrice e antesignana di gusti e mode.

La rassegna, intitolata ‘Topazia Alliata. Una vita per l’arte’, ha aperto i battenti a Palermo ieri, venerdì 11 novembre, presso i locali di Palazzo Sant’Elia dove rimarrà fruibile fino all’11 gennaio 2017. L’esposizione, con la curatela di Anna Maria Ruta, esperta del ‘900, è stata fortemente voluta da alcune discendenti dell’eclettica artista, tra cui la figlia maggiore: la scrittrice Dacia Maraini.

Topazia, spentasi nel 2015 a 102 anni, pur rimanendo sempre profondamente legata alla Sicilia, strinse amicizie con intellettuali e artisti come Renato Guttuso, Pupino Samonà, Corrado Cagli, Carlo Levi e Danilo Dolci. La mostra, organizzata dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con l’associazione Lo Stato dell’Arte, ha il patrocinio del Comune di Palermo.

Il racconto è scandito da 8 sezioni tematiche che, partendo dalla storia della famiglia Alliata, toccano gli anni in cui Topazia frequentò l’Accademia di Belle Arti, i maestri, i giovani colleghi; il rapporto e il matrimonio con l’etnologo e fotografo Fosco Maraini, il trasferimento in Giappone durante la seconda guerra mondiale e la sofferta parentesi vissuta da tutta la famiglia in un campo di concentramento nel paese del Sol Levante; il ritorno in Sicilia e l’avventura da imprenditrice alla guida della Vini Corvo; gli anni ’50, gli intellettuali e gli amici artisti; la nascita della Galleria d’arte a Trastevere e i rapporti con artisti e collezionisti internazionali. Ciascuna delle sezioni ospita opere appartenenti agli eredi di Topazia Alliata o in prestito da istituzioni e collezionisti privati.

“Non so perché mia madre abbia smesso di dipingere – ha detto Dacia Maraini – probabilmente non aveva abbastanza fiducia nel suo lavoro. Come tante donne, portava in sé la memoria atavica della sfiducia istituzionale”.

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