Aigab contro maxi stretta Regione E-R su affitti brevi


L’Associazione italiana Gestori Affitti Brevi (AIGAB) si appella al Governo contro la bozza di progetto per limitare le locazioni brevi in Emilia Romagna, predisposta dagli Assessori regionali alla Casa Giovanni Paglia e al Turismo e Commercio Roberta Frisoni, affinché, come già avvenuto per un provvedimento di tenore analogo varato dalla Regione Toscana, la impugni davanti alla Corte Costituzionale ritenendo che alcune sue parti, specialmente quelle che permettono ai Comuni di limitare gli affitti brevi, siano in contrasto con la normativa nazionale ed europea su libertà d’impresa e concorrenza.

In Emilia Romagna, fa sapere AIGAB, l’incidenza dello stock immobiliare di case che i proprietari preferiscono tenere sfitte per il rischio morosità è pari al 21,8% del patrimonio immobiliare complessivo; le case promosse online con finalità di affitto breve sono appena lo 0,6% degli immobili esistenti, un fenomeno troppo esiguo per giustificare un provvedimento legislativo che punta più che a limitarlo ad eliminarlo, nonostante non vi sia alcuna evidenza scientifica del fatto che lo sviluppo degli affitti brevi stia turbando “l’equilibrio tra la tutela della residenzialità e la vivibilità degli spazi urbani e dei quartieri”, giustificando la restrizione di diritti fondamentali previsti dalla Costituzione.

Ne consegue quindi che il provvedimento che la Regione vuole approvare entro fine anno appare fortemente viziato da un approccio ideologico che non ha minimamente preso in considerazione i dati forniti e anche nelle principali città la situazione dimostra una sostanziale irrilevanza del fenomeno.
Gli effetti di lungo periodo, nel caso questa norma venisse approvata, non potranno che essere negativi ed avere come risultato l’aumento dei prezzi degli hotel e della conflittualità all’interno sia nei condomìni che tra privati e amministrazioni, con una pioggia di ricorsi al TAR contro regolamenti urbanistici comunali che introdurranno restrizioni fantasiose suggerite dalle lobby alberghiere (in particolare, la possibilità di stabilire un numero massimo di locazioni brevi per aree o addirittura edifici non rispetta il criterio di proporzionalità e introdurrebbe delle disparità nei diritti dei proprietari); d’altro canto si registrerà una diminuzione delle case online con conseguente diminuzione del turismo delle famiglie, in particolare quelle straniere, quindi una perdita di flusso di viaggiatori a favore di altre regioni europee più competitive in termini di rapporto qualità/prezzo.

Inoltre, il numero di case non occupate aumenterà per effetto del calo demografico già in atto e, in assenza di politiche di tutela dei proprietari, non aumenterà di certo il numero di immobili disponibili per le locazioni a lungo termine.
Il valore immobiliare delle case sarà destinato a diminuire, con evidente impatto negativo sulla ricchezza delle famiglie italiane. Basti pensare a quanto accaduto da quando è entrato in vigore il regolamento di Bologna (dicembre 2024): il numero degli affitti online è diminuito in linea con la diminuzione a livello nazionale (2107 annunci online ad agosto 2025 contro i 2795 a dicembre 2024, dati AirDNA) e i canoni degli affitti di lungo termine sono aumentati in linea con la tendenza nazionale (i dati di immobiliare.it mostrano che a settembre 2025 per gli immobili residenziali in affitto sono stati richiesti in media 17,06 euro al mese per metro quadro, contro i 16,85 euro al mese per metro quadro di dicembre 2024), segno che le restrizioni sulle locazioni brevi non hanno prodotto gli effetti annunciati nella premessa del Regolamento comunale.

Ci si chiede piuttosto: perché non rendere disponibile lo stock di immobili di proprietà pubblica (dei quali non è nemmeno disponibile un censimento pubblico accessibile) per ampliare l’offerta di alloggi destinati alla locazione residenziale di lunga durata?
Perché non si lavora per incentivare i proprietari di immobili verso la locazione di lungo termine fornendo loro garanzie rispetto alle morosità e fondi di tutela nei confronti delle morosità incolpevoli?
E a fronte del grande patrimonio di immobili non occupati presenti in Emilia Romagna (tasso del 22% secondo ISTAT), perché non si studia come stimolare l’offerta, ad esempio attraverso incentivi fiscali (riduzione dell’IMU, cedolare secca al 10% per canoni concordati studiati sulla base delle esigenze dei territori), e ci si accanisce con un carico extra di oneri e vincoli urbanistici, ulteriore rispetto a quanto indicato dalle norme nazionali, su quegli immobili che i legittimi proprietari hanno deciso di mettere a reddito con gli affitti brevi per trarne una rendita integrativa a stipendi e pensioni con cui faticano ad arrivare a fine mese?

Inoltre, continua AIGAB, al fine di aumentare l’offerta di alloggi destinati alla locazione residenziale è sbagliato escludere il mutamento d’uso degli immobili con destinazione ricettiva alberghiera, ingessando immobili obsoleti (come tanti hotel di fascia bassa che stanno attuando una riconversione da hotel a residenziale, con possibilità di essere affittati con contratti transitori d’inverno e con locazioni brevi d’estate) in destinazioni d’uso che non incontrano più il favore del mercato, scoraggiando investimenti e condannando centinaia di immobili al decadimento.
Anche introdurre il cambio di destinazione d’uso per poter utilizzare un contratto disciplinato dal Codice Civile è evidentemente una forzatura che ingesserà il mercato spingendolo verso la professionalizzazione e riducendo la capacità dei privati di poter incontrare i bisogni di studenti, turisti e persone che hanno bisogno di soggiorni temporanei per motivazioni molteplici (dalla ristrutturazione dei propri appartamenti a motivi sanitari ecc).

Il vero obiettivo del provvedimento è evidentemente quello di scoraggiare l’adozione della locazione breve mediante aggravi burocratici e incremento di costi, tornando di fatto a un sistema di licenze concesse dalla PA, antecedenti alle liberalizzazioni del 2006. Contro queste misure liberticide auspichiamo l’intervento del Governo affinché, come già accaduto per un provvedimento analogo operato dalla Regione Toscana, lo impugna innanzi alla Corte Costituzionale tutelando i diritti di cittadini e imprese.

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