domenica, 22 Dicembre 2024

Bankitalia, in 20 anni Roma ha avuto crescita deludente

Negli ultimi vent’anni l’economia di Roma ha mostrato “una deludente performance, peggiore rispetto a quella delle altre principali città italiane ed europee in termini di valore aggiunto pro capite”.  È quanto emerge da uno studio della Banca d’Italia. Eppure la Capitale, sottolineano i ricercatori di Via Nazionale “presenta ancora molti punti di
forza  su cui può far leva: il ruolo ancora centrale dei servizi ad alta intensità di conoscenza e l’alto grado di internazionalizzazione di quelli per le aziende, il peso rilevante dei lavoratori con istruzione superiore, un elevato tasso di natalità delle imprese e un notevole peso della ricerca pubblica”.

Ma prima di tutto serve “un rinnovato e più efficiente apparato amministrativo pubblico e migliorare la
qualità dei servizi pubblici locali” attraverso il maggior utilizzo delle tecnologie digitali e innalzare il capitale umano
dei dipendenti pubblici. I settori su cui puntare, rilevano, sono l’informatica, le telecomunicazioni, l’audiovisuale, la
sanità, le attività culturali, la ricerca e sviluppo, la consulenza aziendale. Tra il 2001 e il 2018, si legge nello studio, la crescita del valore aggiunto pro capite a Roma è stata più debole di quella Milano e della media delle altre 12 aree metropolitane del Paese, tra cui troviamo anche quelle del Mezzogiorno, un’area particolarmente penalizzata nel corso del decennio.

Nel derby con Milano, la Città eterna perde non solo in termini di Pil e ricchezza ma qualità della vita. La
sicurezza e la tutela ambientale sono i due vantaggi di Roma rispetto all’area milanese (meno delitti e un più basso grado d’inquinamento ma Roma si mostra deficitaria per i posti-km offerti dal trasporto pubblico locale. Certo il turismo è cresciuto ma la spesa media per viaggiatore a Roma si è contratta di oltre il 30%, mentre in Italia è inizialmente diminuita per poi riportarsi sui livelli di inizio periodo. A Roma è aumentata la quota di presenze turistiche per vacanza e svago (dal 41 al 60%), mentre quella dei viaggiatori per lavoro, che di norma mostrano una maggiore propensione a spendere, si è ridotta di oltre i due terzi, dal 21 al 6%.

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