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La Dea e la Profanità

di Michelangelo Trebastoni

Quando penso alla dimenticata Dea di Morgantina, mi rendo conto che se il turismo non é una scienza, però, ci sono troppi scienziati in giro. Veramente pensiamo che il turismo si possa ancora affrontare con pressapochismo? Siamo tutti esperti, solo perché abbiamo fatto qualche viaggio, siamo andati in vacanza, abbiamo soggiornato in più di una località e frequentato ristoranti? Alcuni sono convinti di si.

Dopo vari contenziosi per fortuna tutti archiviati, dal 2011 la statua è custodita, forse dovrei dire conservata, nel museo archeologico di Aidone, finalmente, e mentre al Paul Getty museum di Los Angeles la Dea di Morgantina era visitata da qualche milione di persone, negli ultimi quattro anni i visitatori sono scesi da 21mila a 4mila, e questo nonostante il biglietto unico, seppur non più obbligatorio, con la Villa del Casale e il sito archeologico degli stessi scavi vicini ad Aidone.

A nulla sono valsi gli impegni assunti durante la cerimonia per l’inaugurazione dai tanti astanti, accorsi più per il buffet che per la Statua.

Le promesse, tutte mancate. Il tragitto per raggiungere il museo è rimasto segnato da fosse e cedimenti. La strada che attraversa i boschi sembra quella di una trazzera e, dopo aver scartato buche e avvallamenti, con la difficoltà di poter incontrare qualche bus o camion e non poter transitare, il silenzio accoglie il turista, una volta giunto al museo di Aidone, anzi il gelo.

Nessuna fila da rispettare, nessun disagio da manifestare, solo l’imbarazzo del custode di turno che non riesce a spiegare perché ci sono giorni che non c’è visitatore a cui staccare il biglietto. Accadimenti già annunciati, già previsti, senza essere veggenti. Trenta anni di fasti in America, come una star, file chilometriche per vederla, ora solo oblio e polvere. Dopo solo quattro anni di permanenza, il crollo dell’80% di visitatori.

Il record resta, comunque, ai Bronzi di Riace esposti a Reggio Calabria. Appena tre anni e caddero anche loro tra le braccia di Morfeo, poverini, nell’oblio. Il turismo affrontato in modo profano crea disastri. La nostra Dea relegata alla profanità, senza allori, dovrà farsene una ragione.

Lo stesso Francesco Rutelli, cui da ministro ai beni culturali di questa Repubblica va ascritto il merito o il demerito del rientro della Statua, qualche mese fa, in visita ad Aidone, si era dichiarato molto amareggiato dello status quo.  

Il museo Paul Getty l’aveva acquistata per 18 milioni di dollari, nel 1986, dalla società londinese Robin Symes, dove era arrivata all'inizio degli anni 80, comperata dal ricettatore ticinese Renzo Canavesi, poi condannato nel 2011, ormai ottantenne, dal Tribunale di Enna a due anni di reclusione e al pagamento di 40 miliardi delle vecchie lire. Una vera e propria odissea quella che ha dovuto affrontare la Dea per ritornare alla sua Itaca, ma senza Ulisse. Tante le traversie e i dissensi per riportarla a casa.

Non era meglio lasciarla dov’era al godimento di qualche milione di paganti, se è vero che i beni archeologici sono patrimonio dell’umanità e quindi di tutti? Forse che è stata mai promossa la Dea, il suo museo e la stessa Morgantina? Riteniamo che il clamore sui media per il suo rientro in Italia era bastevole per campare di rendita? Sono sciocchi i manager della Coca Cola, il bene di consumo più noto nel mondo in tutti i continenti, se ancora dopo più di un secolo continuano a promuovere questa bibita? Non sapevamo di non poter contare su impegni assunti a voce? Non conosciamo la nostra incapacità a saper spendere i soldi che stagionalmente l’Unione Europea ci invia e che, invece, puntualmente restituiamo, con lo sdegno del povero che si dà arie da ricco, salvo poi dare la colpa alla mafia e al malaffare?

Che vengano privatizzati in Italia tutti i giacimenti culturali, i siti archeologici, i musei, purché venga garantito il rispetto dei luoghi e assicurati i livelli occupazionali a favore dei giovani, dei diversamente giovani e meno fortunati, nella speranza che la Sicilia non si appelli allo Statuto autonomo e che non sorgano i soliti comitati del fare perché tutto resti com’é.