Una barca di luce, un faro che si accende in vetrina e promette di traghettare la città verso lidi più sicuri: ‘I’m The Island’ è la scultura di Domenico Pellegrino che da pochi giorni occupa lo showcase del museo RISO, aperto sulla strada.
Al RISO – Museo d’arte moderna e contemporanea, a ottobre scorso, era stato inaugurato il ‘Book Culture’, innovativo concept di bookshop museale, ideato da CoopCulture. “Un museo sulla strada, sempre aperto, vetrine sulla città che vogliono idealmente tenere unito quel legame tra il passante e RISO – spiega il direttore del Museo, Luigi Biondo – Dal vetro trasparente del BookCulture fa capolino adesso la barca colorata ed illuminata Domenico Pellegrino. Un’opera dalla spiccata identità iconografica che vuole essere una bandiera per indomiti guerrieri della luce. Torneremo presto”.
“Il BookCulture di RISO, come gli altri aperti nei siti culturali, si era candidato a hub creativo, biglietto da visita del museo che incuriosisce il visitatore – interviene il direttore di CoopCulture, Letizia Casuccio – In attesa di poter riaccogliere il pubblico, presentiamo un’opera simbolica che fa pensare alla rinascita, alla ripartenza”.
Per questo motivo è stato deciso di ospitare ‘I’m The Island’, la barca di luce di Domenico Pellegrino, già esposta nel Padiglione del Bangladesh alla 58.Biennale d’arte di Venezia del 2019. Dopo aver navigato tra calli e ponti, la barca di luce aveva raggiunto Palazzo Donà delle Rose; dopo due anni, arriva a Palermo. Un’installazione che sa di viaggio, percorso, ricerca di conoscenza, voglia di vita. E unisce popoli lontani tra loro: Pellegrino ha lavorato sul modello delle imbarcazioni tipiche bengalesi, barche in legno scuro che scivolano sul fango di un Paese che si vede inghiottire dall’acqua; ha raccolto e annodato un filo che lo conduce in Sicilia, all’antica famiglia catanese dei Rodolico, i maestri d’ascia citati nei Malavoglia, a cui ha affidato la costruzione dello scafo. Le luminarie – elemento scenografico riconoscibile nel lavoro di Pellegrino – attingono a decori bengalesi, presi a prestito dalla natura, riscritti e ridisegnati attraverso la cultura siciliana.