lunedì, 23 Dicembre 2024

Genova dice stop a kebab, sexy shop e call center nel centro storico

Stop a kebab, money tranfer o call center nel centro storico di Genova, patrimonio Unesco con i palazzi dei Rolli, le residenze nobiliari. Stop anche a internet point e tutte quelle attività che non saranno considerate decorose: sexy shop e compro oro, ad esempio. Insomma, no ai negozi etnici, ma anche a quelli che non sono di qualità o che non rappresentano la tipicità.

É il frutto di un’intesa tra Comune, Regione e Cciaa e di una delibera comunale approvata in seduta straordinaria. Il Comune ha individuato una zona rossa del centro per tutelare le vie più turistiche, qui si insedieranno solo attività di qualità, non chi usa cibi precotti; non ci saranno lavanderie o distributori automatici, o negozi dell’usato o macellerie etniche e comunque che non hanno carni italiane. Tutto questo per migliorare la qualità della vita dei residenti, aumentare il decoro e riqualificare il centro storico attraverso il commercio.
Il provvedimento sul commercio ‘etnico’ è nato da un’idea dall’assessore leghista Paola Bordilli che di fatto applica il Codice dei beni culturali e del paesaggio che stabilisce che in zone di particolare pregio l’insediamento di attività commerciali sia subordinato al rilascio di autorizzazione dopo il vaglio dei requisiti richiesti. E questo avverrà soprattutto in una zona ancora più ristretta del centro di particolare valore, per controllare maggiormente la qualità dell’offerta commerciale. Il Comune cerca così di favorire lo sviluppo di una rete commerciale che punti sulla tipicità e sui marchi di qualità e che costituisca un’attrattiva dal punto di vista turistico e un presidio di sicurezza. I negozi dovranno avere anche vetrine e infissi decorose.

“Il provvedimento è fondamentale – dice Andrea Benveduti, assessore regionale allo Sviluppo economico – per rivitalizzare il centro storico più grande d’Europa e servirà a coniugare il piccolo commercio locale di qualità e il decoro urbano. Abbiamo visto nascere troppe attività che nulla c’entrano con il patrimonio dell’Unesco e spesso si sono trasformate in sorgenti di insicurezza”.

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